Il viaggio senza ritorno
La ricorrenza della Giornata della Memoria, anno dopo anno, rappresenta per il nostro sodalizio non solo l’occasione per verificare la bontà delle nostre riflessioni circa il valore narrativo, probatorio, esistenziale della passione fotografica ma anche un momento straordinario in cui ci è dato di riflettere sulla ricerca di un quid, di un qualcosa laddove salvare, una volta per tutte, la nostra dignità di creature umane.
Ieri sera Enzo La Monaca e Veronica Urso sono tornati nella nostra (loro) sede con gli occhi pieni di immagini, con la bocca piena di parole, col cuore pieno di emozioni e, come succede tra amici, con l’avventura di uno sguardo che dall’inferno di Auschwitz li ha ricondotti nella fiducia verso un’umanità che vuole ancora capire, che si fa bella a dispetto dell’indifferenza, che crede ancora che domani non accadrà più questa catastrofe.
Qualche giorno addietro, una nostra amica mi aveva regalato dei libri biografici su Bob Dylan e su Francesco Guccini, Che c’entrano, direte voi? C’entrano. Perché del primo abbiamo cantato, cercandola, un risposta che credevamo perduta nel vento, Del secondo abbiamo ricordato che dentro quel vento c’è ancora un bambino. Ma tra l’una e l’altra di queste confidenze musicali, noi tutti abbiamo messo, troppe volte, tanta rassegnazione, cinismo o, peggio, indifferenza.
Enzo e Veronica, hanno invece studiato, si sono informati benissimo ed, hanno partecipato e condiviso le loro scoperte, che non sono quelle del viaggiatore erudito ma quelle di chi ha bisogno di dire che “questo è stato e non deve più accadere” (Primo Levi). Per realizzare questo loro desiderio ci hanno ricordato che occorre riflettere per soffocare sul nascere ogni rigurgito di tale follia,
Enzo e Veronica avevano un desiderio irrefrenabile di raccontarci tanto e di più; raccontarci la storia, i protagonisti di tante vicende, l’aneddotica eroica eppur semplice di tante genti sule quali si è abbattuta una catastrofe storica inimmaginabile e incomprensibile.
Provando a muovere dai loro passi anche noi siamo penetrati dentro questa memoria laddove privare le vittime della loro valigia, delle loro scarpe, significava dirgli “non ci sarà futuro”, Questi oggetti resteranno qui e, tu sarai solo cenere, E così è stato. Ma una valigia, che oggi ci sembra un drammatico quanto patetico simbolo, era nulla contro l’olocausto programmato, dettagliato, voluto e perseguito. Eppure ….….
La fotografia dei nostri amici, divisa trra proposte in bianconero (più aderenti alla memoria documentativa ed alla drammaticità espositiva) e colore (più provocanti ai fini di tante domande e legittime perplessità) si articolava in riprese che,- guide premettendo -, privilegiava una sorta di affaccio (un intravedere) su spazi e luoghi dove lo sguardo, carico di emozione, si faceva depositario di domande in cerca di risposte, Abbondante ma funzionale appariva la ricerca di prospettive dove raccogliere quanto più possibile di quel che c’era tra una torretta, e un gabinetto igienico (?) o una raccolta di occhiali. Poi, tante ombre, inquietanti e sempre presenti, quasi a far da sentinella ai loroi passi, E infine, le nuvole sopra i campi, sopra i camini, sopra le betulle: Nuvole serene eppure fiammanti, sconvolte non dall’atmosfera ma dal nostro occhio, sapientemente raccolte da un animo disponibile ad intercettarle.
Il dibattito si è fatto ricco. Perché è accaduto? Quali responsabilità? E perché questa scelta così disumana? Ci sono state complicità? Ribellioni? E la nostra fotografia come ha denunciato, come denuncia, come denuncerà.
Domande come macigni che ogni anno ci trasciniamo. Ricordo negli anni passati Immagini di terrificante bellezza (un ossimoro?) forniteci dalle socie Lucia Puvlirenti, Daniela D’Arrigo, Rossella Fernandez. Un reportage tutto berlinese, giocato sull’architettura della memoria e sulle soluzioni artistiche adottate per lasciare un segno continuamente sonoro e assordante, Ringraziamo, allora, i nostri amici per aver aggiunto un altro capitolo alla nostra comune riflessione,
Da qualche tempo mi rifugio nel diario della mia Anna, nel canto carmelitano di Edith Stein, tra le lettere di Etty Illesum, tra le pieghe del saio di Padre Kolbe, tra il sorriso del grandissimo Bonhoffer, tutti scomparsi in questa tragedia, Mi riempio delle loro parole, delle loro lacrime, della loro certezza; cerco quel Dio che loro hanno intravisto nascosto da qualche parte. Poi anch’io inizio il mio viaggio di ritorno.
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