ACAF - Associazione Catanese Amatori Fotografia

 
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Una bella foto PDF Stampa E-mail

di Emanuele Canino

Di fronte all’affermazione: “Una fotografia? Che ci vuole! basta un click!”. Oppure “Da quando c’è il digitale fare una fotografia è diventato semplicissimo!”, cosa rispondere? È proprio così?
È davvero così semplice realizzare una “buona foto” (per dirla con Berengo Gardin) ?
È chiaro, per chiunque si sia cimentato nella fotografia per qualcosa di più che una semplice foto ricordo, che non è affatto facile ottenere risultati soddisfacenti, non parliamo poi di una bella foto. Cosa rende tanto difficile esprimere fotograficamente ciò che sentiamo? Dire ciò che pensiamo? (per immagini ovviamente). Innanzitutto partiamo dal dire che ciò che vediamo non è ciò che la macchina fotografica vede. Il modo in cui viene percepita l’immagine è completamente diverso nei nostri occhi e nella nostra mente da quello della macchina fotografica. Basti dire che, mentre la fotografia raccoglie in un istante unico tutto ciò che è presente di fronte obiettivo, il nostro occhio esplora in rapida successione una serie di dettagli singoli, la nostra mente poi fa una sintesi di quanto esplorato intorno a noi e ricompone il tutto in un’immagine unica. Facciamo un esempio: ponete di fronte a voi due piccoli schermi con immagini in movimento e provate a seguirle entrambe con i due piccoli schermi affiancati, difficile, eh? Provate ora ad allontanarli progressivamente l’uno dall’altro, ecco ora è del tutto impossibile. Questo perché realmente il nostro campo visivo è piuttosto ridotto, almeno per quanto riguarda la percezione distinta e cosciente. È la nostra mente a darci l’illusione che stiamo osservando tutto quello che ci sta davanti contemporaneamente, in realtà stiamo osservando solo un piccolo dettaglio centrale, mentre il nostro cervello tiene in memoria tutti i dettagli circostanti e li ricompone un’immagine unica. Se nel frattempo un dettaglio cambia ce ne rendiamo conto solo alla scansione successiva, per così dire. Oppure, poiché i movimenti percepiti nelle aree periferiche del campo visivo attraggono immediatamente la nostra attenzione, ecco che immediatamente spostiamo gli occhi ed il capo per osservare e renderci conto del cambiamento avvenuto o in essere.

 

 Inoltre il nostro cervello ci gioca spesso degli scherzi: se nella ricostruzione dell’insieme un dettaglio non ci aggrada o non ci interessa, esso provvede a eliminarlo, mentre se desideriamo un dettaglio in più lo aggiunge. Ecco che nella foto compare quell’antiestetico elemento, che proprio non avevamo “visto”: il palo che spunta dietro una testa o il sacchetto dell’immondizia che prima proprio non c’era (chi ce lo avrà mai messo?); oppure una forma spezzata ci appare come una forma intera (vedi a questo proposito i meccanismi della percezione e le leggi della Gestalt).
Anche dal punto di vista percettivo c’è differenza tra il nostro occhio e la macchina fotografica. Il primo ha una “latitudine di posa” enormemente più estesa rispetto alla seconda. Il primo si adatta automaticamente alle condizioni di luce, la seconda no (a meno che non la adoperiamo in completo automatismo ed anche in questo caso con tutti i suoi limiti). La macchina fotografica non interpreta ciò che vede, a differenza del nostro sistema visivo. Il nostro sistema visivo percepisce in maniera diversa i colori a seconda degli accostamenti e dei contrasti. Ancora la realtà è tridimensionale, la foto no. La realtà è un continuo mutare e muoversi, la foto no. Nel mondo reale percepiamo tutto a fuoco e raramente cogliamo il fenomeno della sfocatura selettiva (a meno di non avere difetti visivi non corretti). E così via. (Vedi gli insegnamenti di Ghirri in: “Non è venuta come la vedevo”).
A rendere il tutto ancora più complesso c’è poi un’interpretazione emotiva dell’immagine. Se in un determinato momento ci troviamo in un determinato stato emotivo la nostra immagine (reale o fotografica) viene percepita in modo diverso rispetto ad uno stato emotivo differente.
Basta tutto questo a rendere un’idea della difficoltà di ottenere una buona foto? Non ancora.
Aggiungiamo tutte le difficoltà tecniche proprie del mezzo (chi dice che fare una foto non richiede uno studio e una maestria, quindi “un’arte”, non sa quel che dice). Tempi, diaframmi, messa a fuoco, non sono solo elementi tecnici da bilanciare in armonia, ma sono anche importanti fattori interpretativi in una fotografia. E se è vero che i progressi tecnici hanno portato ad apparecchi che riescono a darci, grazie ad un proprio cervello (sia pure elettronico), un giusto valore di questi dati, non è detto che il valore scelto per noi dal computer, seppur tecnicamente corretto, sia quello migliore dal punto di vista interpretativo. Immagine mossa o fissa, sfocata o a fuoco, fuoco selettivo e iperfocale, sovra o sottoesposto, possono cambiare completamente il senso ad una fotografia.
E poi … composizione, accostamenti cromatici, contrasti …
Ancora a differenza della pittura o del disegno la fotografia è legata al reale o al referente, per così dire. Punto forte e anello debole della fotografia (per alcuni critici questo sarebbe un limite perché la ricondurrebbe ad una mera copia dell’esistente). Perciò mentre nella scrittura e nelle arti figurative il percorso va dall’idea al segno, nella fotografia (che non sia fabriquée – costruita) il percorso è in un certo qual modo inverso: dal segno all’idea. Mi spiego. Se ho un’idea la posso scrivere, narrare, dipingere o disegnare, ma non fotografare a meno di non creare una apposita messa in scena o ricorrere a manipolazioni grafiche. Allora prendo la mia macchina fotografica e mi reco in un contesto adatto alla ricerca di un reale che possa rendere la mia idea. O addirittura la mia idea nasce sul campo a partire da un fenomeno di “riconoscimento”. Riesco a vedere qualcosa che fa scattare un’idea e cerco di esprimerla fotograficamente (reportage-attimo decisivo).
Il cosa della mia fotografia può inoltre essere diverso a seconda della cultura e della sensibilità mie o dell’osservatore, al punto che talora mi sono chiesto fino a che punto il pensiero dei nostri raffinatissimi critici corrisponda pienamente alle intenzioni dell’autore (spesso più semplici).
Il “riconoscimento” è talmente importante che talora si parla di “Zen della fotografia”, come quello stato di grazia o concentrazione assoluta in cui talvolta si trova il fotografo e che gli fa’ cogliere “l’immagine” la dove ad altri risultava invisibile. Una sorta di acuirsi della sensibilità estetica, percettiva, visiva ed emotiva. Quasi uno stato d’estasi.
Per quanto riguarda la composizione e l’interpretazione di una fotografia poi c’è da dire che mentre nella pittura tutto ciò che costituisce l’immagine è voluto dall’autore (non ci saranno parti venute fuori per caso), nella foto “il caso” è spesso una componente importante. A volte taluni elementi che poi risultano decisivi nella forza finale dell’immagine (sia in positivo che in negativo) possono essere capitati li per caso e “nonostante” il fotografo o semplicemente all’insaputa dallo stesso che,per quanto detto sopra, se ne accorge solo al momento di esaminare il risultato.
Infine bisogna considerare l’elemento umano. La presenza della figura umana è molto importante in fotografia. Talora essa decreta la differenza tra una foto riuscita ed una insignificante. Eppure inserire bene la figura umana in un’immagine non è facile: occorre trovare il giusto soggetto, nella giusta posizione, con la giusta luce, girato o no verso la macchina, con lo sguardo "in macchina" oppure no, con la giusta espressione, nel giusto momento… tutto deve essere “giusto” nell’attimo decisivo. L’espressione del soggetto è un elemento tanto importante quanto complesso. Essa ha una variabilità tale, ed una tale velocità nel variare, che su 100 foto di uno stesso soggetto, prese di seguito, con una lunga sequenza, potremmo arrivare ad avere fino a 100 espressioni diverse (guardate ad esempio un film con un attore espressivo e date ogni tanto un fermo immagine – come una foto o uno stop al fluire del tempo - potrete scoprire una quantità di smorfie ed espressioni che erano sfuggite all’osservazione diretta “in movimento”). L'espressione parla chiaramente a chi la osserva e rivela molto della psicologia e dello stato d'animo del soggetto. Nel linguaggio universale delle emoticon bastano pochi tratti di penna per definire lo stato d'animo in un volto per quanto schematico.
L’elemento uomo richiama sempre una particolare attenzione in chi osserva un’immagine.
Certo è solo una delle variabili necessarie alla realizzazione di una foto riuscita, ma forse la più complessa. Occorre psicologia e sensibilità per approcciare e riconoscere la personalità di un soggetto, metterlo a proprio agio, farlo esprimere in maniera utile alla costruzione dell’immagine finale.
E’ possibile studiare come ottenere una corretta esposizione o lo si può lasciar fare al computer della macchina fotografica, quello che non si può lasciar fare ad un computer è stabilire un contatto umano. Diceva Capa “se non ti è venuta bene (la foto) è perché non ti sei avvicinato abbastanza” e non è un problema di teleobiettivi. Il tele non ti "avvicina" psicologicamente al soggetto e nella foto si vede. Devi spezzare la barriera che ti separa dall’altro, farti avanti, sfidare la sua riluttanza e superarla fino a farti accettare per poter scattare da vicino, essere dentro l’immagine.

Concludo con questo splendido brano che riassume, a mio parere, la poetica dell’immagine fotografica:
“Un oggetto o un corpo dall'aspetto comune, se osservati con vera attenzione, si trasformano in qualcosa di sacro. La macchina fotografica può rivelare i segreti che l'occhio nudo o la mente non colgono, sparisce tutto tranne quello che viene messo a fuoco con l'obiettivo. La fotografia è un esercizio di osservazione e il risultato è sempre un colpo di fortuna: tra le migliaia di negativi che riempiono diversi cassetti del mio studio quelli eccezionali sono veramente pochi.
La macchina fotografica è uno strumento semplice, anche il più stupido può usarla, la sfida consiste nel creare attraverso di essa quella combinazione tra verità e bellezza chiamata arte. È una ricerca soprattutto spirituale. Cerco verità e bellezza nella trasparenza di una foglia d'autunno, nella forma perfetta di una chiocciola sulla spiaggia, nella curva di una schiena femminile, nella consistenza di un vecchio tronco d'albero e anche in altre sfuggenti forme della realtà. Alcune volte, mentre lavoro su un'immagine nella mia camera oscura, fa la sua comparsa l'anima di una persona, l'emozione di un evento o l'essenza vitale di un oggetto, e allora il cuore mi trabocca di felicità e libero il pianto, non riesco a farne a meno. Sono queste le rivelazioni cui aspira il mio lavoro.”
(Isabel Allende – Ritratto in seppia)

Dopo le splendide parole dell’Allende non mi resta che augurarvi buona luce anche per questa volta.
 
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