ACAF - Associazione Catanese Amatori Fotografia

 
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Dopo venticinque anni.... PDF Stampa E-mail

“Di voi che resta antichi amori
Giorni di festa, teneri ardori,
solo una mesta foto ingiallita
tra le mie dita” (C. Trenet - F. Battiato)


Caro Presidente, caro Cosimo,

sono ancora io, a scriverti nella qualità di amico e Socio Onorario del tuo, del
nostro, sodalizio.
Sono ancora io, quel rompib … di Pippo Pappalardo, quel vecchio pancione
vanaglorioso, incapace di tenere ferma in mano una macchina fotografica ma,
in compenso, sempre pronto a blaterare di fotografia e, per di più, dentro ed
attraverso questa, del nostro mondo e del nostro tempo.
E sono qui a disturbarti perché, pare, ci accingiamo a festeggiare i venticinque
anni di vita sociale dell’A.C.A.F. e sia tu, sia io, non siamo eccessivamente
amanti degli anniversari (diciamocelo pure, ci fanno sentire più vecchi) però,
ed indubbiamente, amiamo “la festa” perché da qualche tempo ne abbiamo
compreso l’intimo significato e la fondamentale valenza educativa.
La fotografia, compagna di ogni festa, ci ha insegnato, infatti, che quest’ultima è
riunione, comunione, incontro, conoscenza, scambio, convivio, agape, abbraccio,
entusiasmo, piacere, apprendimento, ricchezza, grazia. Sei d’accordo con me?
Se ancora lo sei, ti pongo una domanda (e la pongo anche a me): non ti sembra
che questa descrizione della “festa” sia pure una descrizione dell’ACAF e, quindi,
della sua identità peculiare e diversa, sempre capace e disposta a tenere la porta
aperta a tutti coloro - uomini e donne, vecchi e giovani, ricchi e poveri - che si
sono decisi (o si decideranno) a guardare con nuove motivazioni dentro la propria
esistenza?


Ti ricordi quando ci siamo conosciuti? Io lo ricordo. Son passati più di quindici
anni. Giacomo, Rino, Angelo, gli amici comuni e di sempre, mi presentarono alla
tua eccellenza avvertendoti che “a chiacchiera”, forse, non mi batteva nessuno
ma occorreva verificare se si poteva tirar fuori un “fotografo” da un avvocato.
E’ andata com’è andata. Preliminarmente, però, rammento che hai sentito
il bisogno di spiegarmi cos’era l’ACAF e perché, insieme a Canuti, Ragusa,
Boccaccini, La Rocca, Barbera e gli altri amici, l’avevi voluta diversa, lontana da
ogni esperienza elitaria, snobistica, e quanto, e piuttosto, desiderosa di mettere
assieme l’amatorialità e la professione, la ricerca ed il divertimento, la scoperta
sincera e la memoria pulita.
Mi dicesti che non si viene all’ACAF per mettere a posto i congiuntivi nei discorsi
(anche se occorre, ahinoi, anche farlo) ma per mettere a fuoco la buona visione,
quella comune e quella personale, e per verificare, confrontandoci, di quante linee
è composto l’orizzonte dell’esistenza, per imparare poi, e capire, che quando
avremo finito di guardare il mondo la cosa più bella che ci resterà da fare sarà ….
cominciare daccapo. Quante volte hai, avete, cominciato daccapo? Quante volte avete gioito

nell’incontrare un occhio saputello e, giorno dopo giorno, grazie all’esperienza,
riuscire a fargli comprendere che era ancora vergine alla nuova visione?
E, paradossalmente, ogni volta che avete invitato una gentile signora come
un prestante giovanotto a rappresentare i giorni degli uomini e gli spazi del
loro vivere quotidiano, beh, voi stessi, avete imparato nuovamente a vivere,
recuperando una nuova vitalità, una nuova giovinezza.

Così operando il “manipolo del Penninello” è divenuto un gruppo, il gruppo
dei “ragazzi della via Pola”, dove si lotta e si fatica non per difendere un campo da
gioco ma per difendere la libertà della visione e la fantasia dell’immagine.
A volte mi viene di pensare che in venticinque anni siete (siamo) diventati più
giovani. So bene che qualcuno già fotografa in Paradiso, e qualcun altro è
diventato Senatore della Repubblica, e so pure che parecchi sono nonni e,
certamente, i capelli sono, ormai, fotografati in toni alti (quando ci sono). Eppure,
all’ACAF, dopo un rispettoso “lei”, il “tu” è sempre contagioso anche quando
stai seduto accanto (all’ACAF, per necessità di spazio, si traduce “culuccuculu”)
ad un primario di medicina, una farmacista, un fotografo, una giornalista, una
disoccupata, un sognatore, o un “novellino” che ti chiede cosa ci sia di bello a
fotografare Catania.
Già, Catania! E con lei l’Etna, la Sicilia, il suo cielo, il suo mare, i suoi “ziti” e le
loro lune e le loro palme (che vanno scomparendo).
Sono stati i nostri teatrini di posa nei quali abbiamo incontrato Agata ed i suoi
innamorati, l’Omu Bbonu e sua Madre Addolorata, e la speranza “inter fidem et
mare”; e, poi, la nuova condizione femminile, il mistero di leggere i segni, l’evento
sportivo, l’incontro esaltante, l’esperienza di scendere sottoterra e di salire in alto,
ed, ancora, l’incontro con chi lavora, noi per primi, e, quindi, quelli che vigilano su
noi e coloro, particolarmente cari, che ci guardano diversi per dirci che la diversità
è ricchezza da condividere; ed infine questa benedetta città che ogni volta ci
tocca rifondare con la fiducia del nostro sguardo, con la sincerità della nostra
emozione (e se qualcuno, che ancora non ci conosce, vorrà farci visita, potrà
sfogliare l’album dei ricordi e, spero, non si sorprenderà per qualche prestigioso
riconoscimento, per qualche illustre considerazione).

Vorrei scriverti di altre cose, e vorrei parlarti di coloro che ci hanno conosciuto
solo per qualche giorno e di quelli che hanno percorso altre strade pur rimanendo
dentro il cuore del sentimento dei nostri obiettivi.
E soprattutto, Cosimo, giacché ci conosci tutti, vorrei che proprio tu mi dicessi
chi, e che cosa, siamo. Dei visionari? degli occhi in cielo? dei sentimentali? degli
illusi? Oppure dei fotocopiatori? dei replicanti? Oppure siamo dame e cavalieri
dell’immaginario, compagni di avventura e di poesia?
Perche sorridi e non rispondi? Ho capito: io chiacchiero, chiacchiero e non
fotografo. Per fortuna questa pagina è circondata da tante fotografie e, dietro di
loro, altri giovani, uomini e donne, hanno capito che non dobbiamo riprendere,
in questa festa, alcun “come eravamo” ma intensamente, consapevolmente,
risolutamente capire, in tutta semplicità, “cosa siamo”.
Dobbiamo allora seguire la giovinezza focale della linea dei loro obiettivi? E
non abbiamo fatto proprio questo in tutti questi anni? Non abbiamo, premurosi,
sempre messo in comune una vittoria, un successo, un riconoscimento,
scambiandoci il libro buono, l’obiettivo più luminoso e un rullino ancora da usare
(a proposito, devo a molti di voi almeno il costo di una dozzina di vecchi Provia)?
Invero, devo molte cose all’ACAF, al più vecchio dei soci come all’ultima arrivata

che invidio già dal momento che oltrepassa l’ingresso della sede, perché non sa
che, volente o nolente, ha attraversato lo specchio di Alice.
A volte Ti ho confidato che il tempo dedicato alla nostra passione mi sembrava
sottratto a qualcosa d’altro. Poi, con molta fatica, abbiamo compreso quanta
differenza ci sia tra il tempo libero ed il tempo liberato.
Per capirlo abbiamo impiegato un giorno, quindici, venticinque anni? Non lo so.
So soltanto che quando abbiamo avuto esperienza che la fotografia liberava il
tempo, allora, anche chi ci stava accanto è stato più felice.

Adesso tolgo il disturbo, e Ti saluto, Te e gli amici tutti, anche perché ho ricordato
qualcosa che occorre assolutamente fotografare.
A domani, Pippo
 
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