ACAF - Associazione Catanese Amatori Fotografia

 
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Noli Offendere Patriam Aghatae PDF Stampa E-mail
di Pippo Pappalardo


screenhunter_01_feb._19_17.31.jpgScusate se ritorno sulla nostra città per intrattenervi sul tema “fotografare Catania” che, socialmente
ed artisticamente, ci impegna da sempre.
La circostanza che mi spinge è la festa della sua Santa Protettrice, Sant’Agata,in onore della quale, il 5 febbraio,la cittadinanza offre festeggiamenti (manifestazioni culturali, sportive,musicali, spettacoli pirotecnici, ed altre utilissime amenità) che sfoceranno nel culmine dei tre giorni finali quando
la festa vedrà la partecipazione attenta, interessata ed, a suo modo, devota, di centinaia di migliaia di cittadini.
Una festa -e vi prego di fare attenzione a questa nota- che nasce come memoria religiosa del martirio (e tale dovrebbe
restare) ma che diventa festa della “città tutta” nel momento in cui il Pastore responsabile della diocesi
consegna, per il lunghissimo giro processionale, le reliquie della Santa Martire ai “cittadini” in “sacco bianco”, i quali, ripercorrendo l’antico percorso, ricco di simboli e di significati riconoscibili
solo ai catanesi, rinnoveranno i segni del legame antichissimo tra la città e la sua Santa.
 

La città, invero, in questi giorni diventa protagonista assoluta dellakermesse, si riprende il suo volto troppo spesso oltraggiato, siammanta degli abiti della festa, cura ed arreda gli antichi itinerari,si esalta della sua giovinezza, incontra se stessa. Passano gli anni e,nonostante i segnali del cambiamento
e dell’inevitabile involuzionedi certe espressioni, la città è ancora disposta a farsi attraversareda “candelore”, “fercoli”, “confraternite” e “bande”.
Ed è ilComune, la civitas dunque, che, attraverso le sue Istituzioni,predispone l’accurata  ganizzazione affinché tutto si svolga secondo lospirito di sempre. E’ il Comune che si avvale ancora del lavoroappassionato, colto e pio di un cerimoniere, Luigi Maina, che tutto ilmondo c’invidia.
Ed è il Comune, infine, che si fa carico delmantenimento e dell’evoluzione di questa festa affinché a nessunomanchi il segno e l’eco della ricorrenza: malati, carcerati, indigenti,emigrati avranno tutti la loro Sant’Agata (e con Lei un pezzo dellaloro Catania) perché, almeno in questo, la città non intende sottrarsi.
Pareche questa festa, la nostra festa, sia seconda per partecipazione alCorpus Domini che si celebra in Perù ed alla Settimana Santa inSiviglia. Di certo la città etnea straripa di partecipazione, ancheeccessiva (ed il morto c’è già scappato). E la comunità cittadina, lamunicipalità, mi direte? Come si confronta con la città, con i suoispazi e la sua storia? Vi rispondo: nel rispetto della tradizione e
nell’accoglienza della novità.
Datale confronto possono nascere scelte apparentemente contraddittorie:si mantengono, infatti, gli storici percorsi nonostante il disagio diospitare una marea di gente nel centro antico; si lascia che ildelicato barocco della città continui a legarsi (a perfezione, occorrericonoscerlo)
con la festa straripante; ma,nei nuovi quartieri, che pur portano do: nel rispetto della tradizione e
nell’accoglienza della novità. Da tale confronto possono nascere scelte apparentemente contraddittorie:
simantengono,infatti, gli storici percorsi nonostante il disagio diospitare una marea di gente nel centro antico; si lascia che ildelicato barocco della città continui a legarsi (a perfezione, occorrericonoscerlo) con la festa straripante; ma, nei nuovi quartieri, chepur portano il nome della Santa, la festa rimane ancora distante. Perfortuna, basta poco perché attorno ad una “Canderola” si svegli
l’identità antica oppure nuova di un quartiere ancor quando, oggi, abitato prevalentemente da
extracomunitari. Ma perché -mi domando- la città in questi giorni si sente come  protetta, invincibile?
Che è, poi, a pensarci, la stessa città che considera assai discutibili talune considerazioni religiose,
chesi offende per certi fanatismi, che rimane perplessa di fronte apresunte espressioni di fede, ma che non vuole sottrarsi allapartecipazione, anche se con occhio critico.
Critico, in tal senso,è stato anche l’occhio fotografico, pronto a sottolineare la teatralitàdei catanesi, il “barocco che cammina”, i l vol to dei “cittadini”-così si chiamano i devoti col tipico “sacco”-, non penitenti, nonterziari, non processionanti, ma “cittadini”, i civesdel 2010 che oggiindossano sotto il “sacco” i quotidiani jeans e maglioni e che un tempoandavano a far festa alla loro
Santa in giacca e cravatta. La città(ed i suoi figli?), intanto, scopre i suoi simboli, i segni che lisorreggono ed il legame, nel tempo, con le altre immagini: l’elefante,Bellini, Verga,l’Etna, la squadra di calcio in serie “A”.La città,intanto, s’inventa un’anima e, oltre la storia ed oltre le difficoltàquotidiane, va trovando una sua voce e costruisce, con il consenso dichi l’ha voluta ed amata, il suo volto. Strade, piazze, palazzidiventano le arterie pulsanti dentro le quali la “catanesità” scaccia il
“catanesume”.L’ospite,il turista, il forestiero, per intanto, sarà coccolato, vezzeggiato,cullato tra la folla e le candele affinché capisca e si metta in testache Catania è capace di essere bella ed anche
buona.
E che proprio questa bellezza e questa bontà cerchi, una volta tanto, di fotografare.
 
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