Lavorare ad un progetto non significa però che si tolga spazio all'istinto, improvvisazione, al cogliere l'attimo.
Robert Frank credo sia un longevo esempio, ancor'oggi moderno. Sia per stile (sia merito suo che per demerito degli ultimi decenni di fotogiornalismo/reportage basatisi su clichè stilistici e tematici - se il fotogiornalismo è in crisi è colpa anche dei fotogiornalisti - ma qui apriamo un altro capitolo) sia per concetto di progetto.
Ma cosa sarebbe oggi The Americans se Frank non avesse in mente il suo progetto? Un'accozzaglia di immagini belle, buone, ma oggi inutili. In ogni foto Frank si ricorda della sua idea di America, della sua visione pessimistica in totale opposizione all'ottimismo profanato dagli USA (tant'è che fu inizialmente bannato in USA, uscendo in Francia).
E seguendo quella sua personale linea, è andato alla ricerca degli istanti, delle emozioni, del cogliere gli attimi, ma anche i secondi, minuti, ore. Non fai la foto dalla finestra dell'albergo perchè è bella, la fa perchè i tuoi sentimenti per quel progetto personale ti spingono a farla.
Non c'è una foto di Frank dopo cui faccio "oooh", come magari decine di fotografi del '900. Ma poi chiudo il libro e mi sale un senso di angoscia. Lì è la sua grandezza.
Personalmente non credo che oggi si abusi del metodo progetto. Credo anzi che si sia abusati per decenni e decenni di una non-metodologia che oggi ha chiaramente saturato il mondo della fotografia, il tutto elevato all'ennesima potenza da web e digitale prima, social e smartphones oggi, droni e Google Glass domani.
Facendo un paragone con lo sport, la squadra segue tutto un progetto, e, come se ogni giocatore fosse una foto, hai bisogno di uno Schillaci, ma anche di un Gentile che fa il lavoro meno bello, ma utile al tuo "Perchè?" del portfolio o progetto o serie che sia.
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