ACAF - Associazione Catanese Amatori Fotografia

 
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Discussione: Re:appunto
#8961
PipPap (Utente)
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Fotografie come prelievi? E perché no?
Di sicuro il contenuto delle analisi più recenti – e che, a livello sociologico si adoperano circa l’utilizzo e le applicazioni della fotografia - si sposta verso questa direzione.
L’uso sempre più invadente e massiccio dello strumento, e, contemporaneamente, il carattere labile ed effimero dei risultati e delle proposte, spinge l’indagine teorica sul comportamento dei fotografi e guarda al piano antropologico se non addirittura a quello lessicale (l’ultima che ho sentito è: “facciamoci un selfie e limone”).
Il mio amico Lauria è convinto che dobbiamo tornare alle teoriche e alle intuizioni di Bordieu che era, guarda caso, un sociologo (FOTOit, 7-8, 2014).
Io, per adesso, rimango un romantico e intendo rivendicare un’autorialità e una mimesis al gesto fotografico tout court!
Ribadisco, pertanto, una mia considerazione, che tanto ha colpito gli amici, e che recupero in questa circostanza poiché la ritengo opportuna come piattaforma di dibattito.
La considerazione è questa, ed è semplice quanto ovvia: i fotografi trasformano in un'immagine la realtà che vedono o avvertono; siamo i trasformatori del reale in immagine.
La realtà che percepiamo e comprendiamo ha una sua forma antica, oggettiva: per “com-prenderla” meglio, utilizziamo uno strumento moderno, tecnicamente capace di raccoglierne la forma, di connotarla con le nostre certezze o incertezze, di renderla disponibile, nel tempo e nello spazio, e di comunicarla.
Quindi non un inerte, inconsapevole, sterile prelievo ma un incontro, un confronto, un interrogativo al quale proviamo a dare risposta o senso.
L’immagine non è la realtà, e, altresì, sappiamo che la realtà ha natura e causa diversa dall’immagine. La realtà è “altra” da noi; l’immagine, invece, ci appartiene, ci è derivata, forse ci è anche necessaria, in ogni caso, è, spesso, espressione di un nostro bisogno.
Avere scambiato l’immagine con il reale – immagine come replica, come speculum, come mero riflesso, come clone - è stato un comportamento grossolano di cui paghiamo le conseguenze: parliamo, infatti, di una civiltà delle immagini senza saperne tracciare i confini e le forme; parliamo di potere delle immagini senza sapere ragionare sulla nascita di tale potere; i filosofi (Baudrillard) ci avvertono che “le immagini ci pensano” avendo noi trasferito, alla loro esistenza, aspirazioni e ambizioni staccandole dal loro contesto reale e rendendole “merce”, utile o pericolosa, ma da trattare come merce, con poca cura.
Ma la realtà non ci è cara abbastanza? E se lo è, come fa l’immagine – che è, ripetiamo. altra cosa- a non perdere una parte di quest'affezione?
Provo a spiegarmi: vedo una giovane donna incinta e rifletto sul dramma e sulla poesia della vita, la vita di sempre; e, magari, penso all’immagine della donna, alla sua storia, alla maternità, e, penso anche alla fame, al mio essere sua creatura. Penso troppo?
Però “questi” pensieri sono immagini (ricordate Ghirri?) ai quali e alle quali possiamo/vogliamo dare visibilità per comunicarli/e e com-prenderli/e.
Cosa facciamo allora? Fotografiamo.
Guidiamo, pertanto, il nostro pensiero visivo per trattenere l’incontro appena nato, il contatto appena intravisto, la conoscenza che non vogliamo perdere o dimenticare, magari, caricandola di incertezze e di dubbi che, forse, qualcun altro ci aiuterà a capire, ci scioglierà.
Prelievi si ma, quindi e semmai, come “carezze” (Walker Evans). Sguardi che hanno “cura” (Battiato) del mondo.
Perchè non lo saccheggiano, perchè non sono nati come sassolini lanciati per richiamare l’attenzione di chi si è distratto, o da togliere dalle scarpe, o da buttare nello stagno, o da confondere con le parole che il tempo ha consumato.
Sono nati come esperienze esistenziali, belle o drammatiche, che formuliamo a futura memoria: formuliamo e non preleviamo. Appunto!
 
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Ultima Modifica: 2014/08/18 09:51 Da PipPap.
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#8965
PipPap (Utente)
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Sesso: Maschio Ubicazione: catania Compleanno: 1952-11-11
Re:appunto 9 Anni, 9 Mesi fa Karma: 9  
D’accordo, preleviamo. Ma, poi, cosa preleviamo?
Tutti concordiamo che la realtà e la “sua” immagine sono concetti, espressioni, differenti; e, allora, in che relazione stanno quando dall’una preleviamo l’altra?
In passato ci ha aiutato la semiologia ricordandoci che l’immagine è segno del reale; in particolar modo l’immagine fotografica, tra i segni del linguaggio, gode, oltre che del caratttere simbolico e iconico, anche di quello indicale (ovvero la stretta connessione, dipendenza materiale e logica, tra l’una e l’altra). Con l’avvento del digitale non è più così, ancorchè di un referente abbiamo pur sempre bisogno.
Ma, invero non c'interessa qui, in sommo grado, indagare su un costrutto semiologico nuovo per la nostra fotografia o sondare un suo nuovo statuto ontologico: ci basta capire perché c'interessa l’immmagine fotografica e da dove nasce quest’ ottimistica fiducia nelle sue risorse e nei suoi risultati.
E, badate bene, nasce proprio adesso quando sembra che le cose accadano, o siano progettate, per divenire mere immagini; ho letto da qualche parte che l’11 settembre ha trovato le sue ragioni di spettacolare risultato proprio nell’impatto mediatico previsto e calcolato; l’immagine, come dire, ha anticipato la tragedia come concezione visiva dell’evento (doveva avvenire proprio così!).
Scianna ricordava come certi quartieri di Parigi siano stati progettati per divenire immagine, e conseguentemente, poi, abbiamo fotografato delle immagini; e questo comportamento ha finito per contrapporre la realtà all’immagine fotografica piuttosto che proseguire in quella filosofia che vedeva l’immagine fotografica come “ponte” con la realtà.
Come se, guardando il crocifisso in una chiesa, avessimo visto sempre e soltanto l’uomo morto, più o meno ingiustamente, e non, invece, la storia materiale e concreta del suo possibile gesto redentivo che ancora ci interpella.
Insommma, l’iconoclastia cacciata dalla porta è rientrata dalla finestra poiché l’immagine nuova invece di aprirsi a un'altra immagine (v. Montale, Antonioni, Giacomelli), una volta prelevata, si è chiusa in se stessa, non è evoluta ed è divenuta simulacro (v. l’esperienza di Massimo Cristaldi) da spendere, poi, in continuazione, eternamente, “perché senza vita”.
E pensare che i nostri antenati, filosofi della Magna Grecia, all’interno dell’immagine erano stati in grado di individuare un percorso dinamico: distinguevano il”fantasma” (l’immagine che il pensiero genera per suo conto) dalla “fantasia” (l’impronta dell’immagine come realtà grazie alla quale noi ricolleghiamo la medesima al dato originario).

E poi c’è, ancora, un’altra immagine, quella che leggiamo come risultato di un fotografare di altri. E qui, confesso, che l’esperienza del prelievo non mi basta: il nostro Emanuele C. è il primo a rammentare la forte esperienza della lettura dell’immagine (adopera efficacemente l’espressione “il torchio della lettura”), ed io sono il secondo a infilarmi in quel suo tunnel-monocolo laddove l’immagine si presenta come segno sintetico, espressivo, rappresentativo di un’esperienza che non è articolata per convenzioni sintattiche, per significanti o allettanti appuntamenti retorici, ma è proprio “quella”, ovvero un segno, una similitudine, una mimesis, determinata dalla storia e dallo spazio che riconosco, che per un momento ho provato a ordinare, intercettare, per volontà/piacere di comunicarla fuori da me.

In quel "fuori" dove sta la ragione fondante dll’immagine.
Fuori dal Se, dal mio IO; fuori, là dove si forma la mia coscienza (Lacan) e mi ricongiungo al dato di partenza: ovvero l’infinita finitezza del reale, della vita.

Messaggio senza codice, diceva Barthes, nella lettura, la fotografia si riprende tutti i suoi codici con tutti gli attributi e i significanti; questa coscienza l’acquisisce solo dopo, quando scambia l’esperienza che l’ha generata; quando, per dirla con altre parole, acquista consapevolezza del valore che ha intravisto nell’immagine; ma proprio questa nuova acquisizione la riporta al luogo di partenza (Duchamp).
La realtà diviene, quindi, lo specchio che ci permette di conoscere anche il nostro volto umano, perché con esso condivide l’umanità, l’anima, la mente, la vita. L’immagine non preleva, non toglie, semmai arricchisce.
“Niente interessa all’uomo più dell’uomo” ha titolato Alberto C. un suo recente lavoro; indubbiamente una sequenza di prelievi mirati, meditati, soppesati con le più strambalate (?) bilance.
Prelievi, però, che costruivano una sequenza d’immagini che mi hanno bloccato nella lettura poiché avvertiti da me come un invito benevolente, fiducioso, quasi dedicato, a condividere con lui l’immagine e, con essa, la realtà.
Appunto!
 
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Ultima Modifica: 2014/08/18 09:57 Da PipPap.
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#8967
Caristofane (Utente)
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Re:appunto 9 Anni, 9 Mesi fa Karma: 2  
Prelievi si, prelievi no…

In periodo di caldo e vacanze sarebbe piacevole poter chiacchierare e filosofeggiare serenamente sorseggiando una bibita fresca. Purtroppo sembra che io sia destinato a non trovare pace e riposo nemmeno in questo periodo. Perdonami perciò se sono un po’ rozzo e grossolano nelle mie risposte. Cercherò di essere circonciso - direbbe qualcuno!

Inizio col dire che noto un piccolo ripensamento, fra il primo ed il secondo… Appunto.

Insomma la fotografia non è il mondo reale, su questo credo che siamo d’accordo. Come il disegno di una pipa non è una pipa, la fotografia di una donna incinta (per rifarmi al tuo esempio) non lo è allo stesso modo. Cos’è allora? E’ un dito puntato (indice?) che ti dice guarda anche tu: una donna incinta? E poi? Se c’è dietro un pensiero lo devo in qualche modo far evincere a chi guarda (c’è dietro un pensiero?) ed esprimerlo, dialetticamente o fotograficamente, se no la fotografia resta prelievo (o indice puntato, se vuoi) e il pensiero (se c’è) resta nella mia mente, non riesco a “comunicarlo fuori da me”.

Ecco io dico semplicemente che la maggior parte delle immagini di oggi sono un dito puntato, ma il più delle volte il pensiero, quando c’è, resta inespresso o semplicemente… non c’è. C’è solo la voglia di mostrare e, il più delle volte, di mostrare se stessi: guarda cosa ho fatto oggi, cosa ho mangiato, quanto sono bello, dove sono stato, con chi, e così via.

La semplicità della fotografia, oggi, sta nella semplicità tecnica di riprodurre il reale, la sua difficoltà nel comunicare un concetto attraverso un’immagine (o più) che, il più delle volte, non può essere costruita a priori, ma va sintetizzata ed estratta (prelevata?) dal flusso degli eventi che ci viene incontro nel nostro incedere nella vita. Le fotografie, per poter essere prodotte, ci richiedono che noi usciamo fuori a cercarle, ma per trovarle, dobbiamo avere prima bene in mente cosa stiamo cercando, se no andiamo trovando cose a casaccio. A quel punto l’abilità sarà quella di produrre il nostro patchwork a partire da ciò che abbiamo trovato. In alternativa posso prendere pezzi di immagine e montarli insieme al computer, ma quella non è più fotografia, forse grafica, non so.

Se a questo aggiungiamo che il famoso punctum è assolutamente soggettivo e per lo più individuale, la cosa si fa ancora più complicata. L’immagine di un crocifisso è un simbolo del Cristo solo per chi conosce la religione cristiana, per tutti gli altri e un uomo ucciso per mezzo di un supplizio.

Ma tutto questo forse è solo un pensiero fra me e me. un'immagine riflessa in uno specchio. Appunto.



Emanuele C.
 
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E\' un\'illusione che le foto si facciano con la macchina... si fanno con gli occhi, con la testa e con il cuore.
Henri Cartier-Bresson

Chi non sa fare una foto interessante con un apparecchio da poco prezzo, ben difficilmente otterrà qualcosa di meglio con la fotocamera dei suoi sogni.
Andreas Feininger
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#8968
PipPap (Utente)
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Re:appunto 9 Anni, 9 Mesi fa Karma: 9  
D'accordo,
sinteticamente magari, ma concordo.
Serene vacanze
 
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#8969
Caristofane (Utente)
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Re:appunto 9 Anni, 9 Mesi fa Karma: 2  
Vacanze serene al momento per me è vana utopia!

Però, grazie comunque.

Buone vacanze a te.

Ad maiora !



Emanuele
 
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E\' un\'illusione che le foto si facciano con la macchina... si fanno con gli occhi, con la testa e con il cuore.
Henri Cartier-Bresson

Chi non sa fare una foto interessante con un apparecchio da poco prezzo, ben difficilmente otterrà qualcosa di meglio con la fotocamera dei suoi sogni.
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#8970
alb.o (Utente)
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Re:appunto 9 Anni, 9 Mesi fa Karma: 2  
Vi seguo, con tanta fatica anche io... Vacanza? ...anche per me è un vocabolo sconosciuto!!!

Tuttavia, mi piace pensare ad "Appunti e Sassolini", come una sorta di sintesi di un anno e più di considerazioni di varia natura, scritte e non solo, che tra noi sembrano essersi diffuse da semplici semini fino a radicate convinzioni... Badate, dalle quale finalmente ripartire per ulteriori scoperte!

Riparto sinteticamente dalla teoria del "prelevare" di Emanuele (e mi pare di capire oggi sposata anche da Pippo) che condivido e che iin passato ho definito del "cosnumare". Il succo è esattamente lo stesso. Così come anche le conclusioni.

Riparto citando Pippo "La realtà è “altra” da noi; l’immagine, invece, ci appartiene, ci è derivata, forse ci è anche necessaria, in ogni caso, è, spesso, espressione di un nostro bisogno". Ritengo e credo anche Voi, che l'immagine non è nostra, così come non lo è la realtà! Il pensiero e le idee invece si, ed è solo e soltanto attraverso queste ultime che rendiamo le immagini di nostra proprietà, al fine di interpretare davvero la realtà! Per far ciò tuttavia, occorre faticare... pena il prelievo e/o il consumo di foto non nostre, di schemi visti, di stereotipi radicati senza produrre quindi né fotografia né pensiero.

Emanuele sottoponeva un esempio che credo sia in realtà la dimostrazione di quello che per me è oggi un teorema. L'esempio lo riporto giusto come meditazione e nulla più.

ETIS.

Eravamo circa 100 persone. Vi pregherei di rendervi conto che in 100 (chi più chi meno, ma direi quasi tutti) abbiamo riportato a casa le stesse fotografie. Tanto uguali le une alle altre da riuscire a fare una mostra collettiva estremamente omogenea, quasi uscisse da uno stesso fotografo.

Delle due l'una: o abbiamo tutti pensato e partorite le stesse idee, che poi inevitabilmente si sono trasformate nelle stesse immagini, o non ha pensato nessuno, cadendo quindi nel consumo attraverso il gesto del prelievo. Direi che la risposta sia al quanto scontata... ed allora che si fa?

Si pensa! Ci si sforza! Si cerca un'idea che ci piace... e si porta avanti attraverso un proprio punto di vista.
... la chiave sta esattamente in quel "proprio"! Se non è "proprio" si finisce nel riprodurre e poco più! Francamente dopo aver provato a me stesso di essere capace a prelevare, a consumare e riprodurre (cosa comunque non facilissima, o scontata) intuisco prima e scopro poi che non mi diverte e che non mi piace! Che faccio allora?

Mi prendo il mio tempo... e cerco di capire ciò che mi piace, finché riesco pure a fare qualcosa a modo mio... piaccia o non piaccia non è più un problema... "provo a fotografare anche per me stesso" come disse qualcuno a qualcun'altro tanti anni fa!

Saluti agli amici
Alberto
 
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