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Re:Fotografia: a che punto siamo? (1 in linea) (1) Visitatore
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Discussione: Re:Fotografia: a che punto siamo?
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Caristofane (Utente)
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Fotografia: a che punto siamo? 10 Anni, 2 Mesi fa Karma: 2  
Negli ultimi tempi molte sono le preoccupazioni che affliggono i fotografi, specie professionisti, riguardo l’attuale percorso della fotografia.
Potremmo dire che il fotografo si trova in una situazione paragonabile a quella in cui si trovarono i pittori all’indomani della nascita della fotografia (curioso paradosso): ciò che fino a quel momento aveva richiesto duro lavoro e maestria d’arte e di tecnica, poteva d’un tratto essere eseguito facilmente ed automaticamente dal fotografo (con conseguente perdita di fette di mercato oltre che di prestigio).
"... Il problema del rapporto tra le tecniche artistiche e le nuove tecniche industriali si concreta, specialmente per la pittura, nel problema del diverso significato e valore delle immagini prodotte dall'arte e di quelle prodotte dalla fotografia. La sua invenzione (1839), il rapido progresso tecnico che riduce i tempi di posa e permette di raggiungere la massima precisione, i tentativi di fotografia "artistica", ... hanno avuto, nella seconda metà del secolo scorso, una profonda influenza sull'orientamento della pittura e sullo sviluppo delle correnti artistiche, collegate con l'Impressionismo. Col diffondersi della fotografia molte prestazioni sociali passano dal pittore al fotografo (ritratti, vedute di città e di paese, reportage, illustrazioni ecc.). ... Se l'opera d'arte diventa un prodotto eccezionale può interessare soltanto un pubblico ristretto, ed avere una portata sociale limitata; inoltre anche nell'arte la produzione di alta qualità cessa di avere una funzione e non ... si qualifica più come un bene di normale consumo, ma come arte mancata: tende perciò a scomparire. ... le soluzioni che si prospettano sono due: 1) si elude il problema sostenendo che l'arte è attività spirituale che non può essere sostituita da un mezzo meccanico (è la tesi di Baudelaire e poi dei simbolisti e delle correnti affini); 2) si riconosce che il problema esiste ed è un problema di visione, che si può risolvere soltanto definendo con chiarezza la distinzione tra i tipi e le funzioni dell'immagine pittorica e dell'immagine fotografica (è la tesi dei realisti e degli impressionisti).
... la pittura, liberata dal compito tradizionale di "raffigurare il vero", tende a porsi come pura pittura, cioè a chiarire come con procedimenti pittorici rigorosi si ottengano valori non altrimenti realizzabili. L'ipotesi che la fotografia riproduca la realtà com'è e la pittura come si vede non regge ... anche il fotografo manifesta le sue inclinazioni estetiche e psicologiche nella scelta dei motivi, nell'atteggiare ed illuminare gli oggetti, nelle inquadrature, nella messa a fuoco...."
(Giulio Carlo Argan - L'arte moderna, 2002).

Molto più che la rivoluzione digitale, è stata la progressiva computerizzazione degli apparecchi e la diffusione di tecnologia sofisticata a basso prezzo, a mettere in difficoltà i fotografi professionisti e tutti gli appassionati di fotografia. Oggi non occorre più il know-how di un "fotografo" per fare una fotografia tecnicamente corretta, occorre solo una macchina adeguatamente dotata dei programmi necessari alle varie condizioni di ripresa. Questa evoluzione, lasciando poco o nessuno spazio all’errore tecnico, spezza il divario fra il neofita ed il professionista. La facilitazione nella realizzazione del risultato ha reso inutile “l’arte” acquisita al banco dell’esperienza dei fotografi più “anziani”. Chiunque, senza aver mai letto una sola riga di un manuale tecnico, senza sapere cos’è un tempo di otturazione o un diaframma, può prendere una macchina fotografica e fare una fotografia tecnicamente corretta, poco importa se analogica o digitale. Se poi per caso dovesse sbagliare (inquadratura, oggetti impropri che escono da dietro le teste o altro) c’è sempre il pennello magico di Photoshop a sistemare le cose (anche l’analogico spesso necessita di un passaggio digitale per la diffusione on-line, per la stampa tipografica o per altri usi).
Allora a che serve un fotografo?

La perdita di mercato da parte dei professionisti del settore è un chiaro esempio delle implicazioni pratiche di quanto sta accadendo. Di qui i vari distinguo per rendersi riconoscibili tra la massa dei produttori d’immagine: io fotografo in analogico, io stampo in camera oscura, io faccio concettuale, io col banco ottico, io artistico, io introspettivo, io desaturato … e così via di questo passo. Inutili di fronte al giovane rampante che risponde immediatamente (e pragmaticamente): perché devo perdere due ore in camera oscura per realizzare ciò che posso ottenere in due click al computer con risparmio di tempo e denaro? Perché devo perdere tempo a studiare una tecnica del tutto inutile, giacché fa tutto la macchina? Uno stile personale? Non uno ma cento con photoshop! E poi, si sa come sono fatti i giovani d’oggi, sempre una maledetta fretta di arrivare, di saltare le tappe! Il fatto grave è che purtroppo di pari passo all’ignoranza tecnica, compensabile in parte con le sofisticazioni tecniche del mezzo, si accompagna una più o meno diffusa ignoranza storica, concettuale e artistica, della fotografia in particolare, dell’arte più in generale.

Occorre evidenziare, inoltre, come, offuscato dalla ingente massa d’immagini tecnicamente perfette proposte ogni giorno, il livello di attenzione dedicato alle stesse da parte del pubblico è progressivamente crollato a livelli bassissimi. Di fatto il tempo dedicato ad una singola immagine oggi non supera spesso la frazione di secondo necessaria a registrarla sul supporto, analogico o digitale che sia. Come se di un libro leggessimo solamente il titolo, l’incipit o, al massimo, la quarta di copertina. Capite bene come, in queste condizioni, l'unico messaggio che può arrivare è quello diretto della rappresentazione del referente, del mondo oltre l'obiettivo. Che siano state fatte con una reflex professionale o con una compatta o con un telefonino, le fotografie oggi sono tutte tecnicamente perfette in maniera quasi imbarazzante. Così dov'è finita l'arte del fotografo? Di più: sono tutte ugualmente programmate per aderire al gusto medio della popolazione. Ad esempio non c'è un programma per il mosso o per lo sfocato o la sottoesposizione. In effetti è divenuto un caso eccezionale vedere uno di questi "errori" nelle immagini riprese da una macchina dotata di tali automatismi. Né il pubblico accetta a cuor leggero tali tecniche. Non è raro, da parte di chi osserva le immagini, udire osservazioni del tipo:"peccato questa è venuta mossa" - oppure - "peccato dietro il soggetto è tutto sfocato, non si capisce chi altri c'era"- e via di questo passo. Occorrerebbe spiegare loro che, sebbene qualsiasi macchinetta elimini il problema mosso con un colpetto di flash o alzando gli ISO in maniera automatica, se in questo caso ciò non è avvenuto è per una precisa scelta espressiva del fotografo; che in quella scena il mosso evidenzia un movimento che altrimenti non sarebbe stato reso e conseguentemente percepito. Che il soggetto non sarebbe risaltato se fosse stato immerso in una marea di altre teste o altri oggetti dai colori forti e che il “tutto a fuoco”, cui il pubblico è tanto abituato, è una caratteristica, non sempre auspicabile, degli apparecchi dotati di un sensore di piccole dimensioni (sarebbe ???). Ma non è colpa loro, è solo che non sono educati ad una lettura dell'immagine o quanto meno di un’immagine che vada oltre lo scambio da social network.

In molti cercano oggi un linguaggio espressivo differente, talvolta dirompente o scioccante, talaltra il semplice tentativo di astrarsi dal referente, nel tentativo di distaccarsi da un regime di esplorazione del mondo esteriore per passare ad uno di concretizzazione di quello interiore. Tutto al fine sia di distinguersi dalla “plebe” fotografica, che di manifestare una propria capacità espressiva, come anche rendere più efficace il messaggio trasmesso attraverso le immagini. In ogni caso uno stile atto a distinguere la fotografia automatica da quella pensata e quindi “sbagliata”, proprio perché fuori degli automatismi. Ne è nata anche una nuova deriva verso l’arte (ritrovato sbocco di mercato commerciale e quindi fonte di remunerazione) con reciproco vantaggio delle parti.

Da quanto sopra ci appare chiara l’importanza del “come”: le immagini, infatti, sembrano oggi tutte uguali. Come potrebbe essere diversamente, visto che sono realizzate da mezzi dotati tutti della medesima programmazione. In questo contesto si palesa per la fotografia (e i fotografi) la necessità di linguaggi nuovi e nuovi inquadramenti. Per tale motivo molti si affannano nella ricarica di modi espressivi diversi e di quanto possa rendere l'immagine prodotta, diversa, accattivante, capace di attirare e trattenere l'attenzione per qualcosa in più di quella fatidica frazione di secondo. “Ad Arles era tutto un fiorire di mossi e sfocati” diceva l’altro giorno Riccardo Lombardo. Tecniche sacrosante, ma niente di nuovo! E poi.. datemi un motivo, una necessità espressiva, e tutto vi sarà consentito, ma gratuitamente no! Il mercato dell'arte pasce e gioisce di queste tensioni. Ma un pericolo è in agguato. Quando il linguaggio si fa troppo complesso per il pubblico, si crea un distacco tra il pubblico stesso e l'arte, questa finisce per rivolgersi ad una elite ristretta ed il messaggio cessa di essere tale per divenire manifestazione estetica fine a se stessa o comunque rimanere precluso ai più. L'opera finisce, di conseguenza, per circolare solo presso ristrette cerchie di fruitori “eletti”. Per evitare ciò occorrerebbe agire sui due fronti: innalzare il livello culturale medio della popolazione (scuola, programmi televisivi, stampa, manifestazioni culturali), rendere non troppo estremo il linguaggio concettuale del fotografo.
Si può correre inoltre il rischio di concentrarsi troppo sull’aspetto tecnico, perdendo di vista i contenuti: una immagine che sia solo tecnica, per quanto esteticamente gradevole o accattivante, finisce con l’interessare solo un pubblico di tecnici, ma non veicola nessun messaggio. Per contro una foto interessante per il suo contenuto e per il messaggio che esprime, essendo più fruibile per il pubblico, può riuscire nell'intento di ottenere l'attenzione che merita e, nello stesso tempo, essere veicolo di un pensiero, mezzo comunicativo.

Occorre in questa fase ritornare a pensare forse all’uso che vogliamo fare della fotografia. Uno è certamente quello di documentare e “afferrare” il momento, l’evento immediato che passa solo per un attimo davanti ai nostri occhi e fugge per sempre (questo può essere fatto da chiunque si trovi a testimoniare qualcosa con un qualsiasi mezzo in grado di realizzare fotografie abbia per le mani, sia esso macchina fotografica professionale, telefonino o foro stenopeico). Un altro è l’interpretazione e il racconto intimistico o comunque l’interpretazione del reale, che richiede qualcosa di più che schiacciare un bottone, non solo competenza tecnica sul come, per poterlo affinare al nostro narrare, ma anche capacità e la sensibilità di conoscere, comprendere ed entrare in empatia col mondo che ci circonda. In questo autori come Sebastiao Salgado o Eugene Smith, per fare un esempio, hanno molto da insegnarci, ma anche tanti più o meno sconosciuti (eppure bravi) fotografi amatori e professionisti dei giorni nostri (e qui la stampa specializzata ha le sue colpe, anche se mamma internet talora sopperisce).
A tutto ciò si aggiunga lo stravolgimento, dato dal digitale, del rapporto intercorrente fra l’immagine fotografica e il reale agli occhi dello spettatore. Il pubblico ha finalmente preso coscienza (non sono bastati i Fontcuberta e gli Smargiassi, tanto per citarne alcuni, già ai tempi dell’analogico) che la fotografia non è uno specchio del mondo, ma una sua interpretazione, più o meno forzata e certamente personale, quando non disonesta. L’evolvere del procedimento computerizzato di elaborazione dell’immagine fotografica, ha fatto perdere la fede nel riconoscimento del referente come autentico. La semplicità con cui avviene la manipolazione (falsificazione) ha fatto perdere la fiducia nella capacità testimoniale della fotografia, come anche nelle capacità tecniche del fotografo e nella sua onestà. A livello pratico e psicologico, la fotografia ha fatto un passetto avanti verso la pittura (o più correttamente verso la grafica), ponendosi a metà tra l’una e l’altra. Non pura invenzione, ma nemmeno autentica testimonianza. Eppure la fotografia è ancora fotografia, il suo potere testimoniale è sempre lo stesso, la capacità di mistificare il messaggio (in ripresa o in camera oscura) è sempre esistita, solo prima era più difficile ed il vasto pubblico ne era meno cosciente. Sarà sempre l’onestà e la credibilità del fotografo (o della redazione o dell’agenzia) a fare la differenza. Come per qualsiasi altra forma di narrazione dei fatti è il modo e il punto di vista del narratore a fare la differenza. L’oggettività è una pia utopia. Il fotografare è politico. E spesso politicamente scorretto! Come anche lo scrivere del resto.

Non esiste una regola per fare una “buona” fotografia (notate che ho scritto “buona”, non “bella”), non un teorema, né una tecnica, tutto parte dall’anima, dalla capacità di vedere la luce del mondo con il cuore, attraverso gli occhi, ancorché filtrata dal cervello (vi ricorda qualcuno?).
Solo da una reale passione verso ciò che si sta fotografando e dal desiderio forte di trasmettere un messaggio, può scaturire un’immagine vera e forte e questo, nella fotografia, non si può nascondere, perché si “vede” sempre.

Emanuele Canino
 
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Chi non sa fare una foto interessante con un apparecchio da poco prezzo, ben difficilmente otterrà qualcosa di meglio con la fotocamera dei suoi sogni.
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Re:Fotografia: a che punto siamo? 10 Anni, 2 Mesi fa Karma: 9  
A mo’ di chiosa

Ancora un combattimento per l’immagine e, quindi, la pretesa di un’aura a tutti i costi – quell’aura distrutta dalla tecnica riproduttiva -, e ancora la ricerca di una definizione di artisticità da appioppare alla fotografia; ma è proprio questo, poi, che agita ancora i cuori e gli animi dei fotografi appassionati? Magari!
Si ritorna a parlare di Baudelaire e C. (vi raccomando il nuovo libro di Mormorio, Un magnifico inizio, Postcart) e ci dimentichiamo l’influenza e la coerente male-dizione di un Benedetto Croce.
Si sposta sempre più, e per forza di risultati, l’attenzione e l’apprendimento non sul rappresentato ma sul modo della sua rappresentazione sicchè la modalità medesima divierne il “cosa” del risultato fotografico; e tutto questo a discapito di una buona educazione a vedere, e proprio quanto la nostra capacità fisica ed emotiva è quasi consapevole di aver intravisto l’invisibile.
Verissimo. E allora?
Ben venga questa volontà di fare il punto sulle sorti e sullo stato della fotografia, muovendo, nella fattispecie, dalle nostre domande, istanze e perplessità.
Ben venga questa “renaissance” se, dal dibattito che ne consegue, ne scaturisce consapevolezza e coscienza dell’utilità del gesto fotografico e del suo risultato.
Non penso, però, e lo dico preliminarmente, che la nuova tecnica digitale stia modificando i termini di questo dibattito - che come tale è vecchio quanto il cucco e affonda le sue ragioni in correnti di pensiero nate prima dell’invenzione del fotografico (v. Muzzarelli. L’invenzione del fotografico, Einaudi).
L’influenza del digitale distrae un po'troppo e credo che vada indagata sotto un profilo meramente tecnico; e i risultati di queste indagini vadano, poi, vagliati secondo gli assunti delle scienze sociali (sociologia, antropologia, etc).

Ma, al centro della sua riflessione, Emanuele pone una domanda non da poco: in tanto automatismo perfezionato e perfettibile a che serve il fotografo?
E potremmo completare con un’altra domanda che sottende tutto l’intervento di Emanuele:
perché io, proprio io, devo (?) fotografare?

Provo a rispondere, banalmente, ma ci provo.
Ogni fotografo, compreso il sottoscritto, mi aiuta comprendere, e quindi a conoscere, e quindi a interpretare il mondo e le persone che lo abitano consegnandomi la rappresentazione di quest'esperienza.
Di là da tutti i tecnicismi, i trucchi e le esperienze, di là dalle mode, dei critici parolai e degli estetismi da accatto, di là dalle pigrizie e delle viltà, il fotografo è un signore che mi vuol parlare non attraverso una canzone o una poesia o una carezza, ma attraverso un’immagine raccolta come si raccoglie un fiore o come si stacca una pepita, un'immagine pur sempre offerta come un deposito di senso, una convocazione del reale, selezionato e organizzato per una proposta, per un confronto.

Pertanto, bene fa il nostro Emanuele a far convergere il risultato della sua riflessione sull’eticità del progetto fotografico (è proprio questo che dovrebbe interessare i fotoamatori e non gli aspetti teorici che, appunto perché tali, sono solo strumenti per aiutarci a discernere), e della sua necessità, per noi e per chi ci sta accanto.
Mutatis mutandis (che non è un consiglio igienico) ci siamo mai premurati di confezionare il cibo per la persona con cui conviviamo? Organizzargli una colazione, via.
Le scatolette, i surgelati sarebbero là pronti all’uso e firmati dai chefs più alla moda. Garantiti, economici!!!!!
E allora perché ricorriamo al ricordo di come lo faceva la mamma, a quell’erba che non c’è più, a quel tocco di originalità per mascherare, magari, un’incapacità o strappare un sorriso? Perché?
Per l’altro. Che, poi, diventa noi.

La storia della fotografia non è una sequenza cronologica d’immagini che muovono dalla stupidità e giungono alla splendente razionabilità della comprensione o evidenza o perfezione assoluta.
E’ lo sforzo, talvolta titanico, di dare una forma al tempo; così come gli architetti la danno allo spazio: talvolta si è sicuri del risultato, talvolta l’incertezza ci attanaglia.
E allora si avverte il pericolo di ascoltare delle grosse sparate.
Dobbiamo imporci quel che diceva un autore citato da Emanuele: l’onestà come pregiudizio (E.W. Smith).
Solo l’onestà ci spingerà alla ricerca del nuovo e non del moderno, della novità e non della ripetizione, della scoperta piuttosto che del già noto, dell’umiltà piuttosto che della presunzione.
Non c’è, pertanto, una "fotografia all’antica maniera" migliore di quella odierna: c’è una fotografia meditata e un'altra no, una con la quale si vuol travisare il mondo e una che vuole, invece, lasciarlo parlare (Ghirri).
E allora caro Emanuele?
Per fare il punto sulla fotografia dobbiamo tornare a studiare!
Seguire il tuo esempio.
Studiare per rispondere ai dubbi che ci circondano (ma solo per questa ragione). Se no ci basta essere dei fotocopiatori.
 
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Ultima Modifica: 2014/02/18 17:20 Da PipPap.
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Re:Fotografia: a che punto siamo? 10 Anni, 2 Mesi fa Karma: 2  
“Sia lode al dubbio”, mi scrisse tempo fa un saggio maestro.

In fondo non ho fatto altro che evidenziare quello che è sotto gli occhi di tutti.

Prima l’editoria, che avrebbe dovuto essere il veicolo di diffusione della cultura ed ha saputo diffondere solo pubblicità e tecnicismi. La perdita della cultura!

Prima era l’editoria, seconda la crisi dei professionisti che erano il nostro punto di riferimento e stanno scomparendo. Di recente ho potuto leggere in un’intervista:
Domanda: "Ma i fotografi, coi pagamenti a tre mesi e i due spiccioli che prendono, sono sempre a piangere miseria e ne conosco davvero pochi che potrebbero ragionare cosi." Risposta: "I fotografi mendicano… ed è sbagliato. Poi soffrono per aver fatto dei lavori che non li rappresentano. Sarebbe più onesto fare il fotografo come secondo lavoro. La sera faccio il pizzaiolo, però ogni tanto mi concedo il lusso di fare il fotografo. (...)" (Tratto da: “Lo stato della fotografia” - Intervista a Stefania Molteni, photoeditor di Riders.) La trovate per intero a questo indirizzo: http://www.writeandrollsociety.com/stefania-molteni/

Prima l’editoria, seconda la crisi dei professionisti, terza l’introduzione degli automatismi che facendo perdere l’intervento del caso, della varianza dovuta all’errore, ma anche la ricerca di quel condimento con un’erbetta rara secondo la vecchia ricetta tramandata dal nonno, ha portato ad un appiattimento del linguaggio fotografico.

Prima l’editoria, seconda la crisi dei professionisti, terza l’introduzione degli automatismi, quarta la crisi dei fotoamatori che si sono resi conto dell’omologazione al cliché delle loro immagini, ma non delle cause e che, credendo d’inventare, vanno scimmiottando chi è venuto prima (ma non conoscono), usando in modo talora inappropriato, le varianze del fotografico... nei rari casi in cui le scoprono!

Prima l’editoria, seconda la crisi dei professionisti, terza l’introduzione degli automatismi, quarta la crisi dei fotoamatori, quinto il computer e Photoshop che ci ha permesso di fotografare il famoso albero senza uscire dalla stanza, senza averlo realmente davanti all’obiettivo. In quella stanza forse sta morendo la fotografia, l’umano confronto e la necessità di rapportarsi con l’altro guardandolo dritto negli occhi.

Ultima la superficialità, la mancanza di cultura, l’alzata di spalle, il tutto semplice, tutto superficiale. Chi era costui, cosa ha fatto o ha scritto o detto, non interessa più a nessuno. A nessuno andare a guardare il lavoro degli altri autori, grandi e piccoli. A nessuno la storia, la letteratura, la filosofia... a che servono? L’importante è fare presto tanto denaro. Solo quello importa. D’altronde ripeteva sempre un mio vecchio amico: “i soldi non danno la felicità? Figuriamoci la miseria…”.

Nel tuo breve intervento citi almeno due fonti bibliografiche e sei autori, forse questa è la via. E “chi vuol esser lieto sia…”

Grazie per l’intervento

Emanuele

 
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Ultima Modifica: 2014/02/15 11:42 Da Caristofane.
 
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Re:Fotografia: a che punto siamo? 10 Anni, 2 Mesi fa Karma: 9  
“E lode al dubbio sia!”.

La confidenza del tuo saggio amico, personalmente la trovai, ai tempi della mia adolescenza, nel titolo di una poesia di Bertolt Brecth: confesso che tante volte tale assunto mi ha bloccato nell’agire quotidiano, ma, devo riconoscere, mi ha trattenuto dall’istinto di cercare delle certezze ad ogni costo magari per fuggire dal “disagio” e “dall’inquietudine”.
Conseguentemente, proprio queste due esperienze (disagio e inquietudine) non sono state viste più come elementi di difficoltà a crescere e progredire ma come poli di una dialettica storica ed esistenziale necessari per raggiungere nuove consapevolezze e capacità di discernere le vere necessità e i veri bisogni.
Ma di tanto è sottesa tutta la tua riflessione, la quale, peraltro, è in consonanza col sentire dei professionisti (“la fotografia sta bene, i fotografi un po’ meno”), dei circoli fotoamatoriali (ogni raduno nazionale ha, infatti, come denominatore comune “a che punto siamo con la fotografia?”), e delle organizzazioni più capaci di indagare il fenomeno e tentare di ordinarlo (vedi il convegno di Forma di qualche anno addietro, in Milano, pubblicato da Contrasto, col titolo “La situazione della fotografia in Italia”.)

Ma, al mio appello (informarsi di più, studiare di più), fai corrispondere, magari in virtù dei tuoi studi, alcune note di amarezza che, alla faccia del dubbio, collimano con lapalissiane intuizioni, tradotte, poi, in denunce precise e articolate, idonee a individuare momenti di crisi, di stagnazione e assenza di vivacità.
Riscontro allora i tuoi appunti:

L’editoria – da tempo non c’è una proposta editoriale specifica (i tempi di Camera e di Fotologia sono tramontati); supplisce il web? in maniera poco incisiva e, personalmente, trovo ristoro solo nelle riviste alle quali collaboro.
Un prodotto editoriale risponde, però, a una domanda: c’è questa domanda e come si può soddisfarla in un periodo di crisi economica?
La tua denuncia è correttissima ma negli anni addietro è stato pubblicato tanto di quel materiale che attende ancora di essere conosciuto e alaborato (quasi il cento per cento dell’ultimo libro Einaudi dell’eccellente Valtorta è stato da lei medesima e da altri anticipato anni fa con dovizia ed eccellenza).

I professionisti – Chi sono, hanno delle scuole, un registro professionale, avvertono il senso civico, politico del loro agire, della loro funzione? E’ sufficiente la gloria del Premio internazionale a qualificarli? Come li distinguiamo dai geografi, dai giornalisti, dai narratori e via dicendo?

La tecnologia - ancora attendo di frequentare una scuola dove mi s’insegni a “guardare” prima ancora che a fotografare. Quando la troverò, e se sarò promosso, allora, sarò contento di poter disporre della più varia e ricca tecnologia.

L’intelligenza artificiale dei computer – basta riconoscerla e saperla distinguere da quella reale.

Ma, forse, l’amarezza che credo di riscontrare non è provocata dal constatare che queste esperienze esistono nel mondo davanti ai nostri occhi, ma nel dover riconoscere che c’è un atteggiamento poco reattivo, critico, cognitivo, consapevole, e proprio da parte di chi sbandiera la fotografia come strumento di analisi e di comprensione, precludendogli, sul nascere, ogni spazio utile a svilupparne le risorse e i progetti realizzabili.

Invero, devo riconoscere che il mondo, fotoamatoriale e no, marcia secondo proprie e discutibili esigenze, e con ritmi e motori differenti.
Ritengo, sommessamente e con umiltà, che dobbiamo lottare (dico lottare) affinché il nuovo, la diversità, l’insolito non siano visti con diffidenza ma ascoltati e confrontati.
Ti propongo (ma so benisimo di volerlo proporre a tutti coloro che attendono e intendono ascoltarci) di rivedere le tue considerazioni alla luce della celebre distinzione tra fotografi mirrors e fotografi windows; e dopo, magari, tra fotografi interessati a capire ciò che sta davanti all’obiettivo e fotografi interessati della natura dell’obiettivo, del perché si è arrivati allo strumento e si è cercato di farlo parlare.

In ogni caso: “Chi vuol essere lieto, lieto sia, di diman non c’è certezza”. ….. cantava Lorenzo il Magnifico.
Ma noi cerchiamo piccole certezze in quadratini di carta e, ogni tanto, le troviamo.

E, poi, solo poi, sia lode al dubbio.
 
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Ultima Modifica: 2014/02/17 16:22 Da PipPap.
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Re:Fotografia: a che punto siamo? 10 Anni, 2 Mesi fa Karma: 2  
Caro Pippo, lungi da me essere polemico, come forse un non proprio azzeccato esercizio di stile potrebbe dare ad intendere. Se tale è stato inteso me ne scuso. Forse la forma mi ha preso la mano e, complice la fretta, ha vinto sulla chiarezza del contenuto.

Per il resto assolutamente d'accordo con te su tutto... quasi su tutto.

Vorrei qui solo precisare che l'editoria cui facevo riferimento non è quella colta dei vari Barthes, Marra, Mormorio, Dorfles, Sontag, Valtorta e via dicendo. Testi di grande valore, ma sui quali anche una persona di media cultura, quale io immodestamente mi ritengo, può incontrare delle difficoltà. Testi comunque specialistici e dedicati ad un pubblico già addentro alla materia. No io mi riferivo all'editoria più spicciola, quella delle tante testate specializzate nel settore che rappresentano il primo impatto alla cultura fotografica del fotoamatore medio, prima del grande balzo verso più alti orizzonti che sono appunto quelli cui fai riferimento, uniti alle tante pubblicazioni di gran pregio, monografiche e non, dei vari grandi interpreti della fotografia. Evito di fare i nomi.

Mi sembra di capire che i professionisti non incontrano il tuo favore e posso anche essere d'accordo nel non riconoscere una equivalenza tra professionismo e qualità dell'opera. Forse pensiamo entrambi a quel grandissimo fotoamatore che fu Giacomelli.
Però la stampa, siano essi quotidiani, settimanali o mensili, non solo non fa' più riferimento ai professionisti, ma non si avvale nemmeno di fotoeditor di livello, con i risultati che abbiamo tutti sottogli occhi. Certo la stampa non è lo stato dell'arte, ma è senz'altro il più diffuso strumento di paragone, di conoscenza e di formazione del gusto nel pubblico. E poi perdere una figura professionale, come è già capitato con gli stampatori, è a mio parere pur sempre una perdita.

Una scuola che insegni a guardare prima ancora che a fotografare, a cogliere la poesia della vita? Ma questa è alta fotografia, di più è scuola di vita. Se ci fosse vorrei almeno mettermi alla prova, non per fotografare meglio, ma per migliorare come uomo.

Infine il famigerato computer e la fotografia digitale. Credimi io non sono affatto contrario a queste cose, anzi. Ho amato per tanto della mia vita la penna stilografica, ma ho abbandonato da tempo le macchie sulla dita a favore del computer. Quello che temo è la distorsione sociale che questi mezzi stanno comportando ed anche la percezione del fotografico. E' un po' come il prestigiatore, continuiamo a guardarlo stupiti finchè ignoriamo il trucco, pur sapendo che un trucco c'è, ma una volta svelato la nostra percezione cambia improvvisamente e la magia non è più la stessa. Ecco forse il digitale ha avuto solo la colpa di svelare il trucco al vasto pubblico.

Amarezza, mi dici? no, credimi, è solo che ogni tanto amo fermarmi e fare il punto sulla mappa: a che punto sono, dove sto andando? Mi piace mettere in guardia me stesso, accertarmi che non sto prendendo una inutile strada senza sbocco e, già che ci sono, mettere sulla carta i miei pensieri, non solo per me stesso, così che anche altri possano confrontarsi con queste mie ipotesi e, se del caso, riportarmi sulla giusta strada.

Certo che del diman non c'è certezza, mai come oggi nel domani della fotografia, per lo meno io navigo a vista. La mia unica certezza è quella di potermi confrontare con amici come te, Alberto, Cosimo, Salvo e tanti altri che ogni tanto, con un affettuosa pacca sul posteriore mi fanno ritornare alla corretta via.

E' bello potersi confrontare e se del caso cambiare opinione, intanto mi ha dato un indizio su cui lavorare, grazie ancora per il tempo e l'attenzione dedicatemi, in fondo è grazie a queste attenzioni che ho iniziato a risalire la china, spero un dì poter vedere oltre la siepe, verso l'infinito. (... e oltre, aggiungerebbe Alberto, ma questa è tutta un'altra storia).

Con affetto

Emanuele

 
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Chi non sa fare una foto interessante con un apparecchio da poco prezzo, ben difficilmente otterrà qualcosa di meglio con la fotocamera dei suoi sogni.
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Caristofane (Utente)
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Re:Fotografia: a che punto siamo? 10 Anni, 2 Mesi fa Karma: 2  
A proposito di windows e mirrors ho trovato questo progetto spettacolare che ha del geniale su internet ed il mio umore è risalito! http://www.clustermagazine.it/2013/10/mirrors-and-windows-un-occhiata-alle-stanze-delle-ragazze-sparse-per-tutto-il-mondo/
 
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E\' un\'illusione che le foto si facciano con la macchina... si fanno con gli occhi, con la testa e con il cuore.
Henri Cartier-Bresson

Chi non sa fare una foto interessante con un apparecchio da poco prezzo, ben difficilmente otterrà qualcosa di meglio con la fotocamera dei suoi sogni.
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