RECENSIONE DI PIPPO PAPPALARDO
Soci ed amici, appuntano nella bacheca del nostro sito web, i risultati della loro visione.
Ognuno di loro dispone di una propria concezione dell’esperienza fotografica; ognuno privilegia una espressione estetica piuttosto che un’altra; ognuno insegue la rappresentazione di quei contenuti o di quegli argomenti che appaiono più utili, più interessanti, più belli.
Tutti sanno che ogni proposta rimane soggettiva, pur sempre espressione e volontà di comunicazione, occasione di confronto e di dialogo. Confronto sotto il profilo tecnico e professionale e dialogo, soprattutto, sotto il profilo esistenziale e conoscitivo.
Martedì sera, tutta l’Associazione si è fatta piacevolmente carico di stabilire quale fosse la proposta fotografica più interessante delle ultime settimane e riprendere, così, i contenuti dei passati seminari di studio circa la lettura dell’immagine fotografica e sua valutazione.
Richiamo quelle giornate poiché ritengo che sia indispensabile, prima di procedere a qualsivoglia valutazione, leggere prima il risultato fotografico in tutte le sue componenti.
Il Gruppo ha dichiarato più valida e concludente la fotografia “Blood”di Simone Raeli “Fotografia del mese” qundi,ed adesso provo, sulla scorta delle passate esperienze, a motivare i perché della scelta.
Il soggetto della fotografia consiste nel “segno” di una probabile istantanea che raccoglie con efficacia espressiva il ritratto di una persona rannicchiata sopra un letto all’interno di un modesto locale terrano, aperto sulla strada, e riconosciuto dai lettori come un vano adibito con molta probabilità a meretricio sessuale (ci sono dubbi sull’identità sessuale della persona).
Questo soggetto è ritratto dal fotografo in posizione diagonale, e nonostante la discrezione del locale, privo di contrassegni domestici o identitari, è bene illuminato eccetto nella parte del volto che volge verso i confini del fotogramma senza restituirci le fattezze del viso. L’abbigliamento, succinto e modesto, denuncia il livello sociale insieme allo stato ed al decoro dell’ambiente assai carente.
L’autore si appunta sulla sorpresa del ritratto ed esprime un’idea di documentazione che da primaria diventa secondaria nella restituzione della rappresentazione. I toni si vestono di narrazione tematica laddove l’autore fa parlare gli elementi ripresi, in particolar modo i segni del colore (scarpe, sedia,) e lo sviluppo verticale della composizione: bene opera sotto il profilo espositivo atteso che il protagonista sembra sottrarsi alla foto, e l’ambiente ha luci difficili come quella del sole all’esterno e assenza di luci artificiali all’interno.
Sfrutta egregiamente un’enigmatica decorazione della parete per rendere straniante l’episodio raccontato, cosi pure una sfondata e assurda Thonet colorata di rosso, e compone tra due stipiti di porta di muratura locale ben nota, restituendo a tutti noi un documentato tranche de vie di assoluta compostezza, rigore e sinanco di discrezione.
Reportagisticamente, quindi, un eccellente risultato che permette di aggiungere e scambiare ulteriori conoscenze e comprensioni circa questa triste realtà.
Unico neo, a mio avviso, il titolo (“Blood”)che pur sottolineando dati presenti nell’immagine, forza senza necessità la drammaticità della fotografia.
MI permetto di suggerire un semplice riferimento “via….., ora…..Catania” e nessun ricorso alla lingua inglese parlando tra italiani. (P.P)
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