Sebastiao Salgado
Dalla mia Terra alla Terra
Contrasto ed. €. 19,80
Conobbi Salgado oltre vent’anni addietro, in quel di Trapani, dove io, lui e tanti altri fotografi, ci trovavamo per seguire una mattanza in una tonnara che era stata allestita nell’isola di Favignana.
Capii subito che l’impresa di fotografare quella lotta fra uomini e pesci non era roba per me: troppo instabili i miei piedi, inadeguata la mia corporatura, paralizzante la mia incapacità nel relazionarmi con i presenti.
Incredulo, intanto, guardavo un piccolo omino, minuto di statura, capace di parlare in un italiano mescolato con tutte le lingue dell’universo che, con calma olimpica, usava l’apparecchiatura fotografica per narrare l’eterno dissidio tra l’uomo e la natura, tra il bisogno di vivere e la morte, tra le mami e il lavoro.
E questi temi, guardandolo, si rivelavano anche a miei occhi. Lo confidai all’amico Eugenio Zinna (buon'anima), anche lui della comitiva, e, per risposta, mi rivelò che davanti agli occhi avevamo il grande Salgado.
Come mi accade, passai inevitabilmente tutto il giorno a studiarlo.
Lo incontrai, anni dopo, ai Misteri di Trapani, complice l’amico Safina. Era diventato, se fosse stato possibile, ancora più famoso, quasi un mito della fotografia e, davanti, avevo invece un signore che, come me, provava a capire le cose del mondo con le immagini che andava catturando; e stavolta eravamo in sintonia, interpellava anche lui il sacro. Questo il ricordo.
Durante questi mesi, sollecitato dal contenuto della titanica mostra “Genesi”, dal relativo libro e dalle testimonianze degli amici, sono ritornato sui testi e sul lavoro del fotografo brasiliano; invero è stata una cura disintossicante, quasi un liberarmi da tante cervellotiche e inutili domande che andavo ponendomi e, così, sono tornato ai vecchi amori, agli amici di sempre, alle radici della mia passione.
Eppure, avvertivo forte il bisogno di trovare una ragione che potessi scambiare con lui e che mi permettesse di capire la mia discreta quanto totale ammirazione per il suo fotografare.
Questo libro me l’ha data.
Sono confesioni, confidenze, semplice esperienze che Salgado affida, con competente critica e passione per il suo lavoro, all’intervistatrice.
Tutte queste parole (e non ne ho trovato nessuna malevola) si coniugano, però, con le immagini e con le storie esemplari che tutti conosciamo e che chiedono con forza la spiegazione di una loro origine, una loro causa.
Ne ho trovate almeno due:
- il legame forte ed eterno con la moglie Leila, anima delle sue imprese e delle sue iniziative umanitarie che - parole di Sebastiao - lo ha portato a mantenere sempre presente il valore della coerenza;
- e, poi, Rodrigo, un figlio down, che gli ha trasmesso la non aggressività e il dono della capacità di saper ringraziare; e, soprattutto la consapevolezza
di potere vedere in modo differente.
Potete leggerlo come una biografia; io l’ho letto come il racconto di un amico fotografo che ti spiega dettagliatamente perché ha fatto (e come l’ha fatto) tutto questo.
Per amore verso una palla che si muove nello spazio? Una palla indifferente, forse, a chi vi sta sopra e vi si affanna? Oh no!
Come un contatto, piuttosto, da riprendere dalla nostra Terra verso la Terra.
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