Un fotografo di nome Stanley |
di Salvatore Giglio
Se dovesse atterrare un alieno nel giardino di casa mia e mi dovesse domandare cos’è l’arte, non gli direi nulla: lo porterei davanti alla televisione e gli mostrerei un film di Stanley Kubrick. Una delle tante cose, forse quella più nota, per cui ha cambiato il modo di fare cinema, anche di chi è venuto dopo di lui, è stata l’introduzione di musiche all’interno del film non più con scopo prettamente “decorativo” ma con intento narrativo. Certamente le opere di Strauss e Rossini che accompagnano le sequenze di Kubrick hanno reso leggendari i suoi film. Ma Kubrick prima di diventare regista è stato un fotografo professionista, iniziando l’attività di fotoreporter a soli diciassette anni; forse fu in quel periodo che il Maestro imparò la cura maniacale del dettaglio e l’estetica dell’immagine. Ma è un altro film, Barry Lindon (1975), che rivela una serie di aneddoti che legano il regista, il Cinema e la Fotografia. Per le riprese di questo film, ambientato nel ‘700, Kubrick decise di utilizzare quasi esclusivamente luce naturale di giorno, candelabri e lampade a olio per le riprese notturne; a tale scopo Kubrick si procurò degli obiettivi Carl Zeiss planar 50 mm f 0,70, prodotti in dieci esemplari su richiesta della NASA, che doveva utilizzarli per l’esplorazione della luna. Questi obiettivi, adattati a delle cineprese Mitchell BNC, sottoposti a numerose modifiche, consentirono l’effetto luce naturale; certo gli attori dovettero fare molta fatica per recitare quasi da fermo per non andare fuori fuoco! Non vi annoio elencando i numerosi passaggi che consentirono questi effetti, ma è interessante questa trasformazione, questo regalo che l’arte fotografica porge al Cinema. A questo punto non resta che mettersi davanti alla tv e godersi i capolavori di Kubrick: mentre da bravi fotografi apprezzerete la cura della singola immagine, senza che ve ne accorgiate, sarete trascinati dalla Nona di Beethoven o dal Valzer di Strauss… |
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