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domenica 10 giugno 2012 |
da scaricare e studiare!! QUI
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mercoledì 16 maggio 2012 |
...ed ecco che ci risiamo! Il mio Federico si è stranamente addormentato
prima di me... mmm! Basta finalmente lasciarmi tentare da quel numero
di Sin City che non ho ancora letto e quel genio di Frank Miller mi fa
ripiombare nel baratro!!!
Ma come si fa? Ma perchè? Mi chiedo, serve uno psicologo?
E' una dannazione! Sprofondo nei neri di "quel bastardo giallo", mi
sommergono quei meravigliosi neri di "un duro addio" e ricordo quei neri
parlanti di "una donna per cui uccidere"... ed allora penso di buttarli
dentro ad un paesaggio... ci ragiono un pò su, mi ricordo di un paio di
controluce a Catenanuova, tento di trattenermi, ma non ci riesco... è
più forte di me. Bravi fotografi mi hanno già ripetuto decine di volte
che non si fa... Dai lasciamo perdere, tienila nel cassetto, sai già
cosa succederà, ti diranno che i neri sono chiusi e che hai perso
informazioni! Lascia stare!!!
Frank guida i miei pensieri, non sono io, vi chiedo scusa, lo so non si fa... "Frank VAI VIA"!!!!
continua QUI
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martedì 15 maggio 2012 |
Gesualdo Bufalino, ne “II Guerrin Meschino”, alle date 23 maggio e 19 luglio 1992
chiudeva per lutto la sua “opra dei pupi”.
Calando la tela sul sipario del teatrino lasciava Guerrino solo, a sbrogliarsela con le
tenebre, sul ciglio dell’abisso apertosi su una “Sicilia santa, Sicilia carogna, Sicilia Giuda,
Sicilia Cristo… Battuta, sputata, inchiodata palme e piedi a un muro dell’Ucciardone, fra
siepi di sudari in fila …sull’asfalto, di zolfo e cordite”.
E continuava: “No, non verrà Guerrino a salvarla / con la sua spada di latta / a cavallo di
Macchiabruna … / Nessun angelo trombettiere / nel mezzogiorno del Giudizio / suonerà
per la vostra pasqua / poveri paladini in borghese, / poveri cadaveri eroi, / di cui non oso
pronunciare il nome… / Non vi vedremo mai più sorridere / col telefono in una mano / ed
una sigaretta nell’altra / spettinati, baffuti, ciarlieri…/ Nessuna mano solleverà / la pietra
dei vostri sepolcri… / Nessuna schioderà / le bare delle maniglie di bronzo …. / Forse solo
la tua bambino”.
Siamo noi quel bambino? Possiamo offrire ancora una mano? Possiamo immaginare oltre
la speranza?
Gli anni passano e la memoria, per quanto viva e travagliata, si appunta sul ricordo che
inevitabilmente cammina dentro ed attraverso le immagini.
E quindi libri e quindi mostre fotografiche. E poi, la testimonianza di magistrati, di poliziotti;
ma poi i dubbi, le perplessità su ciò che si è fatto e su quanto non si è fatto, e sempre la
cultura del sospetto; e sempre ad invocare la cultura del rispetto della legalità se non altro
per onorare il sacrificio di uomini comuni che scacciavano l’idea di diventare eroi.
Le immagini parlano ancora di loro, dei servitori dello Stato e dei cittadini, ma già sono
visioni lontane, sono icone di cui occorre preservare il significato.
Proviamo, allora, a rendere giustizia a chi giustizia ha cercato ancor quando questa
appariva lontana; ancor quando i compagni di cammino cadevano fatalmente colpiti da
chi giustizia non voleva e tragicamente trascinava la nostra terra nella barbarie e nella
disumanità.
In imago riprendiamoci il giudice Borsellino, magistrati, che lavora accanto ai suoi
collaboratori, accanto a Falcone, accanto agli uomini ed alle donne della sua scorta,
sempre vicino, sempre presente, anche nei momenti della loro scomparsa, terribile e
paventata. Riprendiamoci la sua toga e l’ingegno messi al servizio di quei cittadini che gli
hanno affidato il compito di liberarli da un tragico destino e poi, magari, se ne sono andati
per i fatti loro. Quel “magari”, da qualche tempo, ci danna l’anima.
Ricordiamoci che sono immagini famose, alcune fin tropo saccheggiate dai media, ma
per entrare in confidenza con l’uomo Borsellino, paradossalmente, in queste fotografie
non dobbiamo guardare i simboli delle istituzioni o le pistole delle scorte e le bare dei
morti. Cerchiamo, piuttosto, di capire l’eleganza, lo stile dell’uomo, attraverso una giacca,
una cravatta, il gesto di una mano, la piega di un sorriso. Cogliamone l’ansia nel fumo
dell’eterna sigaretta, nel fuoco di una fiaccola. Poi, magari, sarà la commozione. E, per
tutti noi, il silenzio o la voce della coscienza.
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mercoledì 02 maggio 2012 |
Bene, chiarito ogni possibile equivoco, mi corre l’obbligo anzi la
necessità di spendere due parole sul mosso. Pensiero che rilancio tanto
per chiarire quanto il discorso iniziato da Alberto sia stato per me
stimolante.
Per me, formatomi, se me la passate, alla scuola di Cartier-Bresson e
Scianna, la fotografia è essenzialmente documento e racconto di una
realtà, testimonianza.
Non che non sapessi cosa fosse il mosso. Il mosso lo avevo incontrato la
prima volta in Ernest Haas qualche annetto addietro, poi Capa e qualche
altro, ma non l’avevo degnato di troppa attenzione o più probabilmente
non lo avevo capito nelle sue piene potenzialità espressive. Anzi dico
chiaramente che faccio parte di quei fotografanti che dicono: “peccato è
venuta mossa!”. Che il mosso non è ancora entrato a pieno titolo nel
mio bagaglio di strumenti espressivi, nonostante qualche recente timido
tentativo. D’altro canto la tecnologia di oggi non ci spinge forse in
quel senso? Se no perché tutti quei mille mila ISO o perché le moderne
macchine partono da 200 ISO? Dove sono finiti i 100, dove i 50 ISO?
Ma poi ecco le prime foto mosse che si ripresentano in galleria e nei
diaporami dell’ACAF, la mia mente torna a ricordi sopiti… il panning, il
mosso, l’idea di movimento …
Ecco le foto di Salvo, poi quelle di Licio e Alberto … ma la mente è
pigra, le apprezzo, ma non mi fermo a riflettere a sufficienza. Perché
quel mosso è diverso? Perché suscita emozioni?
Poi la riflessione, un giro su internet, ed ecco esplodere un mondo
diverso, fatto di immagini mosse, sfocate, pinhole, obiettivi degradati e
macchine auto-costruite.
Perché in un mondo di perfezione tecnologica e, ancor più, estetica, si
sente la necessità di un’immagine meno perfetta. Elogio
dell’imperfezione, nostalgia del passato? Non credo, non basta. Forse si
è stanchi di immagini troppo perfettamente uguali a se stesse, troppo
già viste? Non è sufficiente ancora. Credo di capire che si voglia
andare oltre la dimensione semplicemente descrittiva dell’immagine
fotografica, credo che si voglia esplorare un universo più sottile,
diafano direi, legato all’emozione, al sentimento, al sogno. Un mondo
suggerito piuttosto che urlato.
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