Valzer di un giorno, Iavaivoi , Umanità: tre lavori, un comune sentire, una stessa sensibilità emotiva e concettuale, un coerente percorso linguistico.
Molto, moltissimo è stato detto su i primi due lavori di Carlisi. Il primo in particolare mi ha colpito molto per la sua complessità dialettica. Cosa esprime l'autore in questi lavori? Una fugace visione senza il supporto totale dell'opera in stampa, non mi è sufficiente per un giudizio definitivo, quindi, perdonatemi, vado a braccio, per sensazioni, ricordi, flash. A me è sembrato di vedere una attenta ricerca formale che si dissolve, ma non svanisce, in un linguaggio onirico o a tratti tormentato. Una visione personale e obbiettivamente diversa del vissuto di un rito di passaggio fondamentale nella nostra tradizione. Un tentativo di dare respiro al sentimento. A me interessa parlare del suo modo di esprimersi fotograficamente. Non so attraverso quali passaggi, fortuiti o ricercati, si sia evoluta la sua poetica per giungere a questo punto. Non credo abbia sempre usato tale modalità espressiva, anzi sospetto fortemente che il suo linguaggio iniziale fosse completamente diverso. Se, come egli stesso dice, dietro una fotografia c'è sempre un referente, se, come noi tutti sappiamo, l'immagine fotografica fatica a liberarsi da questo quasi indissolubile legame, egli pure cerca di andare oltre, attraverso lo sfocato, il mosso, l'uso di immagini aperte, cerca di suggerire più che indicare, di emozionare più che descrivere, di sussurrare più che urlare, di offrire, non sbattere in faccia, la sua visione di un'umanità sincera, siciliana, ma, a suo modo, universale, nella sua complessità di sentimenti. Se, come viene affermato da Smargiassi, la fotografia è un dito puntato verso un soggetto che ci invita a guardare ciò che altri hanno visto, se la fotografia per Scianna mostra e non dimostra, la fotografia di Carlisi ci invita invece a pensare, a tornare indietro con la memoria ai nostri vissuti e a rivederli filtrati attraverso una nuova percezione emotiva. Sono stati così i nostri matrimoni e tutti gli altri cui abbiamo partecipato? Nelle immagini di Carlisi non si vedono lo scambio degli anelli o il rituale della messa o le foto in posa dei parenti. Gli accadimenti sono sì quelli del matrimonio, ma presi fuori dall’ordinario succedersi codificato degli eventi: sono gli eventi a corollario, spesso imprevisti, nella pantomima di una festa un po’ sacra, un po’ profana. Spogliati della loro sacralità rituale tali avvenimenti ci appaiono presi con disinvolta ironia, talora grotteschi al limite del satirico e del sacrilego: la sposa che alza insofferente gli occhi al cielo, nel posare accanto allo sposo orgoglioso e felice, sotto un Cristo benedicente dal vago aspetto bizantino, la sposa che allatta: forse il figlio della colpa? e la fila di ombre anonime che appaiono dietro la sposa: sono forse le storie e gli amori ormai lasciati alle spalle o fantasmi che avanzano o tornano a inquietare il suo futuro di sposa fedele?
Di certo Carlisi ha delle idee che si “sposano” con la forma e con una capacità di interpretare il sentimento, ha un messaggio da trasmettere.
Ma Franco Carlisi non è solo un fotografo, è anche direttore di una importante periodico di cultura fotografica: “Gente di Fotografia”, ormai incluso fra le riviste scientifiche di classe B, una rivista che rappresenta un punto di riferimento per la fotografia, non solo Siciliana, per la qualità dei contenuti e della stampa tipografica. Fuori dagli schemi classici della rivista fotografica italiana, questo periodico non si presenta come un catalogo di vendita di prodotti fotografici, ma come lo studio attento e la corretta presentazione di “Fotografie” di autori noti, ma spesso assolutamente nuovi o sconosciuti, che ci offrono, con la freschezza del loro sguardo, le nuove poetiche fotografiche d’avanguardia. Il tutto condito dalla lettura delle immagini espletata anche da intellettuali di altre branche dell’umano sapere in un’utile condivisione di saperi e sensibilità diverse.
Cerchiamo di mantenerci aggiornati!
“Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus”
Emanuele Canino
|