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mostra di Salvo Sallemi (1 in linea) (1) Visitatore
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Discussione: mostra di Salvo Sallemi
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mary (Admin)
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mostra di Salvo Sallemi 14 Anni, 3 Mesi fa Karma: 30  
Salvo Sallemi ci invita alla sua mostra personale mostra su"la Pasqua in Sicilia" alla biblioteca ursino recupero ,con ben 26 immagini i del venerdi' santo ad Eenna ,Pietraperzia S.Marco d'Alunzio e S. Fratello il tutto si concludera' il 09.04.2010 prossimamente ora apertura mostra .

link del comune di Catania con la galleria di Salvo Sallemi
http://www.comune.catania.it/la_citt%C3%A0/culture/biblioteche/biblioteche-riunite-civica-e-ursino-recupero/galleria-fotografica/default.aspx?page=1



locandina e presentazione mostra: http://www.comune.catania.it/informazioni/news/cultura/biblioteche/default.aspx?news=12732
 
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Ultima Modifica: 2010/03/17 23:00 Da mary.
 
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Re:mostra di Salvo Sallemi 14 Anni, 1 Mese fa Karma: 30  
Ancora soddisfazioni per il nostro Salvo Sallemi che oggi vede un bell'articolo sulla sicilia sulla sua mostra "Pasqua in Sicilia"



e un bellissimo articolo di Pippo Pappalardo:

“Inneggiamo, il Signor non è morto”
( “Cavalleria rusticana” di Mascagni – Menasci, Targioni Fascetti).
Ricordo che la Domenica di Pasqua temevo l’incontro con gli adulti perché qualcuno di loro mi avrebbe inevitabilmente issato su, tenendomi per le orecchie, e sorridendo avrebbe declamato: ”Crisci, crisci, crisci, ca u’ Signuri abbrivirisci!”
L’invito era, dunque, ad alzarmi, a stare su, a crescere ancora, perché Cristo, per me e per tutti, aveva sconfitto la morte ed era risorto.
Oggi, provo un moto di nostalgia per quei gesti, per quei contatti che contrassegnavano il tempo pasquale e mi davano il senso e la testimonianza di una comunità, la mia, che, proprio nel segno pasquale ritrovava le ragioni della sua identità.
Invero, nei giorni intensi della Settimana Santa, io bambino, avvertivo e sperimentavo l’alternarsi della luce e dell’ombra, del suono e del silenzio, della solitudine e della coralità. Intorno a me, i segni di questi contrasti, anche se poveri, diventavano ricchi, espressivi e condivisi appena due sguardi s’incontravano sulle cose, sulle persone e sugli eventi che consunstanziavano i simboli pasquali.
La Primavera, come insegnava Leopardi appena appreso a scuola, brillava nell’aria, e sui balconi del mio quartiere tornavano i colori; mia madre preparava propiziatori dolci sormontati da uova di gallina, a mio padre avevano regalato un agnello; intanto, qualcuno confidava a quel bambino che un uomo stava per morire, di morte innocente, e la madre l’avrebbe pianto veramente, perché lei soltanto era consapevole dell’umanità di quel figlio. Questa storia l’avevo appresa con difficoltà al catechismo, la intuivo, ancorché nascosta, nel latino dei riti parrocchiali, ma la temevo nei paramenti violacei dei sacerdoti, nel velamento dei miei santi, nel silenzio delle campane.
Eppure, volevo ugualmente penetrarla e grazie alle immagini capii, allora ed oggi, che il mistero riguardava tutti, e per essere risolto occorreva scavalcare il desiderio personale e renderlo manifesto e partecipato. Nella liturgia (servizio reso al popolo) tutto era già chiaro, e da tempo, ma, chissà perché, nessuno lo spiegava né ai grandi né ai piccoli.
Ed allora il popolo siciliano ci ha pensato da sé: ha celebrato l’immagine della sofferenza e della passione introducendola nel suo contesto quotidiano e nella storia di ogni giorno, trasferendo sul volto e sulle lacrime dell’Omu bbonu e della sua Bedda Matri, tutta la solidarietà e tutta la partecipazione che si può avere verso chi ha provato a dirci che l’uomo, con tutti i suoi difetti, è “capace” di Dio.
Si son proprio questi limiti, questa finitezza umana, che si celebra nei giorni pasquali. Qui, in questo tempo circolare dove non si fa mero ricordo di quanto è accaduto ma si fa memoria di quanto vissuto, qui, ancora una volta, morte e vita si sono affrontate: poteva vincere “ il male dire”, di tutto e di tutti, ed invece, uscendo dal buio e dal silenzio, ha vinto la luce del ” bene dire”.
Su questa esperienza profondamente religiosa, perché sempre disponibile a “legare le cose” dell’umanità, si è da sempre appuntata la migliore fotografia siciliana.
Quest’attenzione ha mosso i suoi passi dalla precedente e costante celebrazione artistica della Pasqua, atteso che il modularsi dei riti della Settimana Santa, in Sicilia, ha rispettato la sequenza evangelica, ha pescato nei vangeli apocrifi, nella letteratura, nell’invenzione dei pittori e nelle grandi costruzioni musicali, inglobando, infine, e trasfigurando la precedente cultura pagana.
Ma in questa benedetta isola ogni cosa, anche la Santa Pasqua, si riveste di una sua peculiarità. Come scriveva Gesualdo Bufalino esiste pure una “Passione secondo noi” laddove ogni siciliano vuol farsi, oltre che spettatore, anche interprete sulla scena del mondo e vuol dire la sua, vuol partecipare con la sua umanità, insieme alla natura, a questo momento forte dove trovare un riscatto da protagonista.
Ed allora è festa di popolo sulla quale hanno impareggiabilmente indagato Ferdinando Scianna e Leonardo Sciascia (e nella loro rappresentazione solo la Settimana Santa riveste un’autenticità religiosa), Melo Minnella ed Antonino Buttitta (indovinatissimo il punto di vista antropologico privilegiato nella loro descrizione), Giuseppe Leone e Diego Mormorio (bello il recupero letterario del senso del mistero, della contemplazione e, soprattutto della meditazione).
Sulla mia memoria, su quella di questi valenti protagonisti della fotografia siciliana, sull’esperienza tutta del popolo siciliano, incontrato appassionatamente in tante provincie, si posa l’obiettivo di Salvo Sallemi, il cui gesto fotografico è assai consapevole di incontrarsi con la ricchezza e la diversità dei segni pasquali.
Il nostro amico è fotografo maturo e sa che basterà adottare un codice stilistico capace di trasmettere quel che interessa “al suo cuore, alla sua mente ed al suo occhio” (ah H.C.B.!) affinché, nell’ordinata geometria della buona visione, ogni segno, con il suo carico di valore, simbolo e significato, riprenda il suo posto e la sua funzione.
Ecco, allora, rivelatrici di tale assunto, le scelte determinanti: adozione del colore per coniugare la drammaticità dell’evento con il teatro dell’attesa e con il tempio del ritorno; fiducia nella profondità di campo per non perdere il dettaglio, il controcanto, il contrappunto visivo di ogni singolo protagonista della festa e del rito; rigorosa composizione dell’immagine poiché se, da un lato, non ci stiamo confrontando con una partitura bachiana, dall’altro, abbiamo pur sempre bisogno di penetrare la tradizione di un percorso, la fedeltà ad un gesto, la devozione costante verso un simbolo, lo scambio di una testimonianza.
Immagine dopo l’altra ci accorgiamo, grazie al nostro Salvo, che quel Cristo sta in mezzo al “suo” popolo, che questo popolo ne ha adottato la sua umanità, ne ha riconosciuto l’incarnazione e adesso chiede al Padre la sua resurrezione.
Anche il fotografo chiede ai suoi occhi, al suo strumento, una verità che trascenda la rappresentazione di quanto storicamente percepito; e la tentazione delle facili risposte sembra sopraggiungere (folklore, sopravvivenze paganeggianti?).
Ma nella riconosciuta bellezza di quanto registrato, documentato e testimoniato, sopraggiungono le risposte per i giorni del dubbio e dei punti interrogativi. Oggi è Pasqua, u Signuri abbrivirisci, e noi con Lui.
Pippo Pappalardo
 
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