Scianna: il Ghetto di Venezia dopo 500 anni.
Marsilio Editore € 28,oo
Forse è il più antico Ghetto della storia, sicuramente è il primo con questo nome. Un nome che da cinque secoli definisce l’insediamento coatto di persone di origine e cultura ebraica. E il termine Ghetto ha, appunto, origine veneziana, perché tali si chiamavano le isole della laguna dove dapprima si fondeva e si affinava il ferro. Ghetto, appunto, come la gittata di una fonderia; o da “ghetta”, l’ossido di piombo necessario alla fluidificazione della gittata.
In questi isolotti, la pur illuminata e tollerante Repubblica Veneziana costrinse gli ebrei, che vivevano e lavoravano nel suo territorio, a vivere separati dal resto della città, addirittura sorvegliati, nei campielli, nei canali e nei pontili, da guardie pagate dagli ebrei medesimi. E “l’invenzione” del Ghetto si diffuse in tutta l’Europa cristiana, trovando consensi e applicazioni fino alla sua tragica fine. Anche il Ghetto di Venezia ha un fil rouge che lo collega a quello di Varsavia e altri luoghi simbolo della Shoah, un filo che racconta l’origine di un antisemitismo che resiste da duemila anni.
Che, prima o poi, il nostro amico Ferdinando avrebbe dedicato una riflessione fotografica a questa vicenda era inevitabile: perché la cultura ebraica sta dentro la sua dimensione culturale; perché la vicenda esistenziale dell’ebraismo, come popolo e come singole personalità, ha messo in crisi le nostre presunzioni e certezze culturali e spirituali; e perché tanti fotografi, un numero che fa impressione, e tutti bravissimi, ha dedicato alla fotografia il meglio della propria esistenza con esiti di cui ancora siamo riconoscenti.
Adesso ricorrono cinque secoli da quando i veneziani di origine ebrea, obbligati, cominciarono a vivere dentro il ghetto e, dopo cinque secoli, riconosciamo che “loro” ci hanno insegnato molto, e, da un posto di costrizione, hanno inciso sulla nostra vita.
Non c’è solo la commedia “il mercante di Venezia” a ricordarci l’ambigua difficoltà della convivenza; molta pittura veneta ha i colori di Gerusalemme, così come tanta musica.
Scianna penetra nel ghetto da fotografo colto, documentato e preparato. Comprende la particolarità delle architetture, la diversità delle sinagoghe, la peculiarità dei passati commerci; ma tutto questo potrebbe risolversi in ricognizioni di preziose vestigia di pietre, messe l’una sopra l’altra, con fatica ed economia di mezzi, da persone che temevano i giorni a venire, che pure hanno fatto giungere l’eco di giorni lontani, niente cancellando, tutto rimembrando, tutto condividendo.
Ma non si è fotografi Magnum senza una precisa "misura" fotografica del tempo, o meglio, della Storia.
Molti hanno parlato, per questo nuovo libro, di street photography, che c’è, ed evidente, nel piacere di soffermarsi, incontrare, meditare, riflettere; ma stavolta c’è anche il desiderio di parlare di qualcosa di diverso dalla propria esperienza, qualcosa di più lontano, di più distante.
Invero, nelle ultime pubblicazioni il nostro fotografo aveva aperto l’album personale della sua vita confidandoci come l’aveva vissuta fotograficamente. Qui, invece, ritorna il piacere fotografico professionale che nasce dal “camminare”, dal “toreare con il caso”, dall’immagine “che ti viene incontro”, dal desiderio di guardare con ritmi diversi, finché, nella contemplazione attesa dentro l’obiettivo, tutti gli elementi della visione raggiungano il loro posto nella prospettiva di un nuovo, più sereno equilibrio.
La storia del ghetto è, allora, rivissuta tra la notte e il giorno, tra la terra e le acque, tra gli sguardi e le parole, tra i profumi e le atmosfere, tra il sorriso e la preghiera, tra la Torah e “le Pietre d’inciampo: c’è molto il senso di fare comunità, di riconoscere una comune matrice, di condividere la ricchezza di un’identità; e in questa ricerca Ferdinando ha il più sincero degli approcci: il siciliano desiderio di essere accolto e riconosciuto.
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