riporto qualche frase che può essere utile per indirizzare i nostri giudizi e la discussione sull' autoritratto, premettendo che non sono d' accordo con mary e daniele...io avrei voluto sapere chi è l' autore delle foto, anzi lo reputo abbastanza essenziale per dare...aimè , alla fine una valutazione degli elaborati, senza che si trasformi in una valutazione delle personalità ritratte, cosa che...lungi da me... per ovvie ragioni, non mi permetterei mai di fare. riporto da altre fonti:
Gli autoritratti suscitano sempre un grande fascino anche per i tanti interrogativi che suscitano.
Cosa vuole dire l'autore rappresentando se stesso? Cosa vuole farci vedere di sé? Forse qualcosa che nessuno riesce ad apprezzare? O forse è a se stesso che vuole comunicare qualcosa?
Il confronto con l'obiettivo fotografico può essere un'esperienza singolare, un dialogo non verbale ricchissimo - dice infatti Nuñez - Lo sguardo cerca il contatto con quel buco nero e lo scruta, per esprimere, nell'opera risultante, la propria visione, che è diretta sia verso l'interiorità che verso il mondo presente e futuro."Attraverso lo sguardo, metafora del suo potere creativo, l'auto-ritrattista acquisisce un triplice ruolo, in quanto è allo stesso tempo autore, soggetto e spettatore. - spiega Nuñez - Da lì la potenza comunicativa dell'autoritratto: l'autore attira a sé lo spettatore come sussurrandogli nell'orecchio "questo ti riguarda". E lo invita a immergersi nell'intricata dinamica di identificazioni e relazioni tra i tre ruoli, e attraverso questo scambio assicura la sua immortalità nei cuori e nelle menti dei posteri. L'auto-ritrattista possiede un potere intrinseco e una libertà di azione che è paragonabile a quella degli dei: l'autoritratto, come ha detto una volta Michel Tournier, è l'unica immagine possibile del creatore (e il suo sguardo) nel momento stesso della creazione."Ogni autoritratto, al di là dello sguardo sulla propria interiorità, è sempre una sorta di performance. È assolutamente impossibile costruire la propria immagine in modo inconscio. Il nostro agire o recitare è mediato senz'altro da quello che noi vogliamo che gli altri vedano di noi. Nonostante questo esiste uno spazio, un rapporto tra sé e sé che rimane, a mio avviso, indipendente dallo sguardo dell'altro e che racchiude un intenso dialogo interiore di percezione, pensiero, giudizio e accettazione. Un processo meraviglioso che non ha bisogno di parole, perché l'opera contiene tutto e non ha bisogno di essere tradotta per colpire nel segno."
"La performance è anche uscire da se stessi, immaginarsi diversi da quello che siamo, come fa la giovane artista giapponese Tomolo Sawada nel suo 400 ID: quattrocento fototessere-autoritratto che rappresentano quattrocento donne diverse. Ricorda Nuñez - "il bisogno prometeico di essere e sperimentare tutto... insomma diventare l'altro". E ancora: "questa pulsione, questa aspirazione a riconoscere e a inseguire la molteplicità degli io che convivono in noi è tipica dell'età contemporanea".
"Sono moltissime le persone che temono l'obiettivo. Nella maggior parte dei casi si tratta, a mio giudizio, di un rapporto difficile con la propria immagine, determinato dalla differenza tra la nostra immagine interna (che rimane più o meno ferma all'adolescenza o alla giovinezza) e quella esterna che ci mostra lo specchio. Dice Barthes che la fotografia non rappresenta né riflette la realtà, ma le dà significato. Noi non siamo il nostro autoritratto, siamo molto di più.
Dunque l'autoscatto può diventare uno splendido strumento per unire immagine interna ed esterna, trovare la propria essenza anche attraverso il nostro corpo e il nostro volto attuali."
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