ACAF - Associazione Catanese Amatori Fotografia

 
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Fotografi viaggianti e viaggiatori fotografanti (1 in linea) (1) Visitatore
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Discussione: Fotografi viaggianti e viaggiatori fotografanti
#7199
Caristofane (Utente)
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Fotografi viaggianti e viaggiatori fotografanti 11 Anni, 8 Mesi fa Karma: 2  
Dopo la presentazione del mio diaporama (si può fregiare di tale appellativo?), qualche giorno addietro, ho fatto alcune valutazioni che esulano dalla riuscita o meno del mio lavoro, ma sono dovute ad alcuni commenti e riscontri che ho avuto alla fine della serata e all'indomani della stessa da chi era stato spettatore. La domanda schiettamente era: ma davvero uno che vuole presentare le foto di un viaggio si deve comportare come se fosse un professionista? Alzarsi all’alba, aggredire le persone sbattendogli in faccia l’obiettivo, prepararsi approfonditamente prima di partire, perdere in ultima analisi il piacere del viaggio e affrontarlo come un lavoro? Non sarete un po’ esaltati? (sic!) Non si possono presentare le immagini scattate durante una normale vacanza solo per raccontare un luogo o un’esperienza o un’emozione? Non si perde il gusto della sorpresa nel visitare un luogo di cui sai già tutto? E l’emozione della scoperta e di uno sguardo vergine non filtrato da precedenti altrui visioni ed esperienze? Davvero è necessario correre dei rischi per portare a casa immagini decenti?

In verità non è proprio così e se l’altra sera si è avuta questa impressione ritengo sia stata un’impressione errata. In fondo le mie immagini sono nate da un normale viaggio organizzato, senza nessuna specifica preparazione e senza particolari sforzi sul campo. Semplicemente cercando di fermare dei ricordi e delle emozioni del momento. La mia presentazione è un chiaro esempio d’immagini colte in maniera sciolta (à la sauvette? Insomma: istananee), durante un banale viaggio organizzato, con tutti i limiti che un tale lavoro può avere. Basata su percezioni, intuizioni (forse anche errate), emozioni sorte spontaneamente durante il viaggio.

Come comportarsi allora? A mio parere occorre trovare una giusta via di mezzo tra il desiderio di portare a casa delle buone fotografie e il rispetto per i compagni di viaggio o la famiglia che sono con noi, in primo luogo, e, non ultimo, il rispetto per le persone che andiamo a fotografare. Fotografare situazioni scabrose o socialmente e politicamente instabili senza le dovute autorizzazioni e gli agganci locali può essere oltremodo rischioso. Conoscere gli usi e i costumi aiuta a non offendere le popolazioni che incontriamo (e fotografiamo).
Cerchiamo in ultimo di non comportarci da grande caccitore bianco, sia pur d’immagini. Perché riconosciamolo a volte l’atteggiamento del foto-turista è quello: “ecco vi porto la foto che nessuno prima di me aveva saputo riprendere”. E se talora, nell’ambito di una ricerca etnografica o nella motivata ricerca di un fotoreporter che vuole documentare i costumi di un popolo o denunciare determinate realtà, può anche essere consentito, entro certi limiti, correre dei rischi calcolati o essere un po’ invadenti, ma anche lì siamo ai limiti dell’etica giornalistica (quella che … il lettore deve sapere ad ogni costo). Questo non si addice al turista fotografante. Infine si può correre il rischio, presi dall’ansia di fotografare di non vivere il viaggio se non a posteriori attraverso la visione delle foto.

Se dunque avete qualche fotografia da proporre per avere un giudizio o un suggerimento o anche per il semplice gusto della condivisione, non fatevi intimorire da certi discorsi, ma fatevi pure avanti. Se infine, nonostante tutto, siete riusciti a portare a casa buone immagini si vede che siete stati molto bravi!
Anzi ho proposto di dedicare qualche serata alla presentazione e commento di brevi sequenze d’immagini “pure” (senza musiche e dissolvenze) al fine di valutare e parlare di tecnica e di lettura dell’immagine.


Il reportage è un lavoro da professionisti e, in quanto “lavoro”, mal si concilia con lo svago ed il divertimento (un viaggio in fondo serve a questo di solito). Esistono poi diversi tipi di reportage. Un conto è documentarsi e andare alla scoperta di luoghi, usi e costumi, tutt’altro discorso è crearli. Il modus operandi di Follmi, ma anche di altri autori (McCurry ad esempio) è emblematico per mostrare quale lavoro e quale tipo di organizzazione c’è dietro le immagini di un professionista (a proposito potete dare un’occhiata a questo video di youtube: http://www.youtube.com/watch?v=CRdppVB4YjY&feature=related e seguenti, vedi anche il solito Smargiassi: http://smargiassi-michele.blogautore.repubblica.it/2010/11/01/va-dove-ti-comanda-la-pagina/ ). Se da un lato occorre preparazione e professionalità, dall’altro si dispiega un’equipe, si monta un set. Mettere in posa un bonzo davanti all’entrata di una capanna, con un panno scuro di sfondo dietro e un pannello riflettente davanti per schiarire le ombre; immaginare un’evento, metterlo in scena, comprese le pose dei soggetti, le loro espressioni, la disposizione degli oggetti, le luci, le ombre; fotografare il tutto con diversi obbiettivi (ben disposti su un bancone e con un assistente che te li monta e teli passa) e da diverse angolazioni; magari alla fine sarà una bella immagine, ma è fotografia? Forse, ma certo non è documento. Occorre fare attenzione di fronte a certe scene estetizzanti, guidate spesso dai nostri preconcetti. Rischiamo a mettere in scena delle favole, belle favole magari, ma finte. Diverso è il discorso portato avanti da Jordi o da Alberto in cui il lavoro prevede un’idea, un progetto, la cui realizzazione si basa sul lavoro sul campo, dal vero. Con tutta la propria perizia tecnica, ma senza finzioni. Con preparazione, ma non premeditazione.

Se poi vogliamo emulare i grandi fotografi, nell’ambito di quello che possiamo considerare un piccolo gioco per grandi, possiamo anche organizzarci un “viaggio fotografico”. Là il discorso cambia, nasce il progetto, si rende necessaria una preparazione, si mettono alla prova le nostre capacità, si può anche essere presi dall’ansia da prestazione (ma questo è un altro discorso), ci possono stare le alzatacce e tutto il resto. Ricordiamoci che come qualsiasi gioco l’importante è divertirsi senza farsi prendere troppo la mano o peggio prendersi troppo sul serio. Se poi vi accorgerete di essere “troppo” bravi, chissà… forse un futuro da professionisti. Ma tenendo presente che da professionisti il divertimento finisce nella maggior parte dei casi. Raggiungere un buon risultato sarà certo gratificante, non riuscire potrebbe essere un duro colpo la nostra autostima. Teniamo sempre presente il video di cui sopra!

Senza alcuna volontà di polemica solo pensieri sciolti, riflessioni dopo cena, la mente un po’ obnubilata, ma sempre la voglia di riflettere su cosa stiamo facendo.


Buona luce a tutti, Emanuele


PS: mia moglie mi rinfaccia che “una volta” fotografavo bene… poi da quando ho iniziato a frequentare “quest’ACAF” ho iniziato a fotografare sfocato, mosso, in bianco e nero…
Si è vero, mia moglie in questo caso rappresenta il punto di vista “vulgare”, ma penso anche che la fotografia sia un linguaggio, un modo di comunicare qualcosa, se il linguaggio si fa’ troppo aulico, troppo erudito e cerebrale può non essere più in grado di comunicare. Tutto dipende da chi è il pubblico cui vogliamo rivolgerci. Ma su questo ci sarà tempo di riflettere un'altra volta…

 
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Ultima Modifica: 2012/10/05 23:25 Da Caristofane.
 
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Chi non sa fare una foto interessante con un apparecchio da poco prezzo, ben difficilmente otterrà qualcosa di meglio con la fotocamera dei suoi sogni.
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Re:Fotografi viaggianti e viaggiatori fotografanti 11 Anni, 8 Mesi fa Karma: 2  
Come non darti ragione, la chiave è quella giusta: l'IMPORTANE è certamente DIVERTIRSI.
Ma chi ha detto che chi come me decide di alzarsi all'alba per fotografare non si diverta?
La Fotografia per me è un mix tra luce ed idea, inseguo dunque la luce migliore e ricerco idee!
Per me alzarsi all'alba vuol dire Luce, nuovi odori e suoni da scoprire, appropriarsi di un mondo sconosciuto che scompare di colpo a partire dalle 8.00 am… una grande conquista!

Approfondiamo la questione del viaggio fotografico, mi chiedo: che male c'è nel voler conoscere il posto da visitare ancora prima di partire?
Posso permettermi un viaggio l'anno, 7 giorni, 10 nei casi più fortunati, indubbiamente pochi, ma certamente meglio di niente! Non voglio perdere neanche un secondo del tempo che ho stabilito dedicare alla fotografia una volta giunto sul posto. Voglio essere libero di decidere in quali vicoli e violetti perdermi per fotografare. Odio dover restare paralizzato in una piazza leggendo la guida alla ricerca di una direzione. Aggiungo che se è vero ed indispensabile creare una sintonia tra fotografo e soggetto, se è vero che occorre entrare in empatia con i luoghi ed i suoi abitanti, calarsi nella realtà locale per meglio raccogliere sensazioni e momenti da fermare in una foto, allora mi convinco ancor di più che ciò è molto difficile possa avvenire senza conoscere la cultura locale.
Esempio concreto:decido di andare in Nepal, mi accorgo di voler indirizzare il viaggio più sull'aspetto spirituale del paese. A questo punto mi chiedo, ma come posso pretendere di trovare ciò che cerco e rappresentarla al meglio delle mie possibilità se non conosco neanche la differenza che passa tra induismo e buddismo? Cosa c'è di tanto strano nel voler conoscere usi e costumi di un popolo, prima di partire? Ritenete davvero che questa sia tutta "roba da professionisti"?
Un viaggio fotografico per me è qualcosa che aspetto per un anno intero e non mi va lasciare al caso la sua riuscita! Mi piace sapere in anticipo, dove andare, in quali zone è più facile incontrare determinante situazioni; voglio essere pronto al posto giusto, per lo meno sulla carta… da quel momento il resto è l'imponderabile, le infinite combinazioni che il "caso" sa offrire… ma senza la preparazione di base si rischia di doversi affidare totalmente alla fortuna!
Sono perfettamente in sintonia con Giancarlo Torresani quando dice che con il racconto fotografico ed il suo progetto la "fortuna" lascia spazio all'intenzionalità del fotografo.
Torniamo un attimo indietro, dicevo luce ed idea… ma come arrivano le idee? Beh! Vi svelo un segreto, una buona parte di queste arrivano nel momento in cui (nel caso di un viaggio) inizio a prepararlo secondo quanto ho appena scritto. Ne arrivano diverse, alcune le tieni, altre le scarti… ma arrivano, vi assicuro! Che dire, improvvisamente ci siamo trovati ad un passo dall'avere un progetto fotografico, sembra una magia ed invece il meccanismo mentale è molto più semplice di quello che si può immaginare. Ritenete limitativo piuttosto che liberatorio attivare un procedimento preliminare di questo tipo, ad un viaggio fotografico? Avere un progetto per un racconto libera il fotografo dal dover "cacciare" tutto ciò che accade intorno, libera dall'ansia di fotografare di cui parla Emanuele e di non vivere il viaggio se non a posteriori attraverso la visione delle foto; contrariamente a quello che si può pensare, seguir un progetto affranca il fotografo e non lo condiziona, ma per far ciò occorre partire dall'idea, di qualunque tipo sia (documentativa, narrativo-tematico, narrativo-artistico, creativa, concettuale , etc.).
Ciò che fa la differenza in un racconto è l'idea, ed allora ribalto la questione. Pensate davvero che sia più ovvio e più facile trovare l'idea a posteriori dopo aver già scattato tutte le foto del viaggio ed essere tornati a casa? A me appare evidente che trovare un'idea a posteriori non solo è sbagliato metodologicamente, ma anche riduttivo in termine di risultato finale. E' come se avessimo solo un numero preciso di parole, già decise e predeterminate e con quelle dobbiamo sforzarci di scrivere una poesia… chissà magari si è talmente bravi da aver scelto belle parole, ma vi rendete subito conto che non avere limiti di questo tipo e poter utilizzare qualunque parola si desideri, a parità di condizioni porta una poesia senz'altro migliore.

Avrei ancora tanto da dire… ma mi rendo conto che troppa carne sul fuoco non aiuta la riflessione!
Certamente mi sono fatto un'idea precisa anche sulla questione Follmi (uno dei miei fotografi preferiti) ed il suo libro (che ho letto e riletto) su parte del quale Smargiassi solleva una precisa questione.
Ne riparliamo domani!

 
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Ultima Modifica: 2012/10/07 23:03 Da alb.o.
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Re:Fotografi viaggianti e viaggiatori fotografanti 11 Anni, 7 Mesi fa Karma: 2  
Pippo Pappaplardo in altro forum, ci dona come al solito un ulteriore importante contributo, prendendo spunto da un prezioso testo:

Marco Aime e Davide Papotti
L’altro e l’altrove
Einaudi, pag. 212, € 17

Riporto un estratto dell'intervento di Pippo.

(...)
“Il cantiere dell’immaginario turistico – perché di una costruzione si tratta – possiede vari accessi ed uscite. Quella zona temporaneamente autonoma che è il turismo, con la sua interruzione della vita quotidiana e della consuetudine, modifica in maniera significativa, la mente del viaggiatore. (quindi, il progetto del viaggio modifica i luoghi)"
Ma vale anche il contrario, ed i luoghi stessi finiscono per essere cambiati dalla weltanschauung del turista e dalla sua modalità di interpretarli (come è accaduto per il sottoscritto a proposito di una personale visione di Lucca dopo il lavoro di Alberto, cosi come il fotografare una perseguibile linea di orizzonte in mezzo alle nuvole dopo la proposta di Emanuele).
L’universo turistico si colloca allora come crocevia di motivazioni ed attrazioni varie sicché i flussi di comunicazione tra i luoghi residenza e quelli della vacanza o della gita non possono prevedere unicamente il movimento fisico nostro e delle nostre famiglie ma si nutrono anche dell’immaterialità delle nostre ambizioni: ad esempio, fotografiche,(legittime quando non sono repliche).
In pratica, se ho letto bene, quei luoghi, sempre più esotici e sempre più lontani (guarda caso adattissimi per lune di miele-???) sono tali perché così li rappresentiamo."
(...)


Mi riprometto assolutamente di leggere il libro, non vedo l’ora, ma non avendolo ancora letto, esprimo ciò che penso sull’argomento, pronto a convincermi del viceversa a seguito di ulteriori approfondimenti e confronti. mi soffermo sui due seguenti aspetti.

“Il progetto del viaggio modifica i luoghi”.

Può essere, ma anche questo non credo sia un sacrilegio, anzi ritengo sia congenito nella natura del viaggio ed ancora più in genere della vita!
Mi spiego meglio.
Se durante la mia vita per varie vicissitudini la mia strada prende una direzione piuttosto che le altre infinite possibili, il mondo che mi circonda assumerà una particolare luce ed una personalissima dimensione in base a ciò che la mia vita mi offre. Percorro ogni mattina la stessa strada per andare in studio, ciò implica che di quella strada ho ormai una personalissima visione, una mia idea, persino i miei pregiudizi. Fossi invece diventato avvocato piuttosto che architetto avrei percorso probabilmente quella strada in maniera meno assidua, per altri motivi ed in circostanze diverse rispetto alla routine quotidiana… l’avrei certo inteso e collocata in un dimensione differente.
Ed allora avessi avuto in ambo i casi desiderio di fotografare quella strada, i segni da me riportati sarebbero stati indubbiamente diversi nell’uno e nell’altro caso.

“Ma vale anche il contrario, ed i luoghi stessi finiscono per essere cambiati dalla weltanschauung del turista e dalla sua modalità di interpretarli”

Assolutamente vero anche questo.
Infatti se i segni della stessa realtà sono diversi (ossia le foto della strada per arrivare al mio studio), immaginiamoci ciò che il mio amico Franco (l’osservatore) percepirebbe di quella strada qualora decidessi di mandare quelle foto a Roma, laddove egli risiede. Finirebbe sicuramente per farsi due idee differenti della stessa strada, al variare dei segni osservati.

Ed allora dico che se questo è vero, come penso sia, preferisco partire da libero fotografo, piuttosto che affidarmi al caso! Preferisco partire con un progetto, basta prendere solo le opportune precauzioni.
Pippo dice qualcosa di sacrosanto: “guai provare a dimostrare la guida turistica, guai affrontare un progetto fotografico di un viaggio e tornare con delle foto alla maniera di…”.
Partiamo con un progetto, ed immaginiamo le nostre foto… Arrivati sul posto allineamo occhio, cuore e cervello e la sincerità potrebbe essere una naturale conseguenza.

Il tema si fa sempre più interessante, aumenta il DIVERTIMENTO!!!!

 
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Re:Fotografi viaggianti e viaggiatori fotografanti 11 Anni, 7 Mesi fa Karma: 2  
Che dirti, Alberto, se non un grazie per la sempre attiva partecipazione.

La prima cosa che devo dirti è che sono in piena sintonia con te.

Un viaggio va sempre preparato.
Anche se... il livello di preparazione varia da persona a persona e da viaggio a viaggio.
Ma tu fai riferimento ad uno in particolare tipo di viaggio: il viaggio fotografico, mentre io mi riferivo ad una concezione più generale. Là dove il viaggio è un argomento socio-culturale-filosofico complesso sul quale tanta letteratura è stata spesa. Ma noi siamo fotografi (o fotografanti) e quindi parliamo di questo se vuoi/volete.
Una buona preparazione, dunque, è importante e aiuta sempre, in ogni senso, come hai benissimo espresso già tu.
Fermo restando che il punto di partenza è il "divertirsi": a me, ad esempio, non piace molto leggere le guide (che dopo un po' trovo noiose con la loro pedante descrizione di luoghi), ma preferisco i libri "sul luogo" o parlanti "del luogo" o ambientati "nel luogo" o di autori autoctoni del luogo che andrò a visitare e comunque preferisco sempre lasciarmi un margine di "verginità" visivo/intellettuale per non avere troppe idee preconcette che a volte si possono rivelare sbagliate. Infine mi piace un po' anche lasciarmi sorprendere, emozionare e stupire dai posti che vado a visitare (anche se purtroppo più si va avanti con l'esperienza e più questo diviene difficile). Il progetto poi, come ti dicevo, è un argomento complesso col quale solo di recente ho iniziato a confrontarmi, ma lo devo ancora metabolizzare in quanto non fa parte della mia cultura di base, quindi... ci sto pensando, a piccoli passi!
Poi tu mi solletichi: l'alba, e aggiungerei banalmente il tramonto, quella splendida luce dell'ora blu: quale magnifico elemento fotografico. La luce è uno degli elementi più splendidi ed importanti della fotografia, ma attenzione la fotografia di viaggio non è solo "estetica" e la preparazione è solo uno dei fattori viaggio fotografico, c'è anche il fattore del comportamento del fotografo in viaggio da tenere presente (in tutti i sensi: pratico, tecnico, morale, etico, ecosolidale, etc.). Qualcuno chiede come fare e cosa è giusto fare e su questo penso sia anche giusto meditare.
Quello che mi pongo è un problema etico. Diceva giustamente l'altra volta Francesco qualche volta è giusto mostrare immagini crude per mostrare l'altra faccia del nostro mondo e per farci pensare. Mi sembra giusto, l'importante è non essere ipocriti, non sfruttare il sentimento solo per fare colpo sul pubblico, ma, soprattutto, è importante il modo in cui ci si rapporta con il soggetto delle nostre fotografie, soprattutto se questo è un uomo (senza parafrasi). E' importante che l'estetica non sopravanzi o, peggio, stravolga il contenuto.
Recentemente guardavo su internet un'intervista a Berengo Gardin a proposito della sua mostra su L'Aquila prima e dopo il terremoto e il giornalista insisteva se fosse giusto (leggi morale) un certo gusto estetico delle immagini in determinata fotografia. Berengo Gardin rispondeva più o meno testualmente: io non sono un artista, sono un fotografo, non faccio arte cerco un documento, certo una qual forma estetica quando scatto una fotografia è intrinseca al mio lavoro, ma non è la parte più importante. Ok, d'accordo, mi dirai quella è una fotografia documentaria e Gardin si dichiara testimone del suo tempo e non artista, ma non è questo il punto. Il punto è sapere cosa vogliamo riportare di un viaggio (progetto!): una documentazione, delle immagini esteticamente valide, delle emozioni, un ricordo...
Ma soprattutto: è lecito instaurare un set fotografico (e direi quasi cinematografico) per descrivere un luogo non qual'è realmente, ma quale tu lo immagini o lo vorresti e poi non dire: "questo è il X-posto come lo sogno io", ma dire: "ecco le fotografie del X-posto".
O anche più semplicemente: è lecito ricreare una ricostruzione esteticamente accattivante di ciò che realmente avviene in quel paese solo perchè voglio presentare un determinato tipo di immagini?
La fotografia mi dirà Pippo mente, ha sempre mentito e sempre mentirà, ma l'onestà del fotografo non è importante?
Se è importante sapere se la foto del miliziano di Capa sia o no autentica, non lo è anche per quella di viaggio o per qualsiasi fotografia che si ponga allo spettatore come in un qualche modo documentaria o narrante?
Certo poi io posso fotografare in maniera esteticamente perfetta anche due attori con Kefiah che fingono di sparare a S. Berillo (tanto per dire) e poi dire: ecco come io immagino la primavera araba (o anche come l'ho vista e ora ve la ripropongo). Ma non posso dire: ecco gli scontri a Damasco, né spacciare la finzione per realtà, è una questione di etica (anche se quella ricostruzione l'avessi fatta a Damasco stessa). Come etico è il problema dell'atteggiamento da adottare nei confronti delle persone che andiamo a fotografare.

Ma tutto questo non ha alcun nesso con te e con il "nostro" viaggio è solo una riflessione che mi sono posto, a mente fredda, a proposito di viaggio e fotografia, dopo aver fotografato o tentato di fotografare (e poi di narrare), per la prima volta, non un "ricordo" di viaggio, ma un "luogo" e delle "persone" e forse anche una domanda che mi pongo su come dovrò comportarmi in futuro.

Immagino e spero che qualcun altro vorrà partecipare a questo dibattito, così vi lascio il tempo di pensarci...

PS: Ho visto che Pippo Pappalardo ha consigliato un bel libro ed io ci aggiungo lo splendido "L'arte di viaggiare" di Alain De Botton (Guanda ed. - 26.000 Lire ai tempi in cui lo acquistai io) e anche "CONCETTUALITÀ DEL VIAGGIO NELLA FOTOGRAFIA ITALIANA CONTEMPORANEA" di Roberta Valtorta (che ho trovato liberamente distribuita in rete, non so se esista anche in versione pubblicata).

Per una volta ... buone riflessioni.

Emanuele



PPS: Alberto, mi accorgo che abbiamo postato quasi in contemporanea e che mi hai preceduto di un soffio ora vado a leggere
 
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Ultima Modifica: 2012/10/08 20:11 Da Caristofane.
 
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Re:Fotografi viaggianti e viaggiatori fotografanti 11 Anni, 7 Mesi fa Karma: 2  
Come diceva l'altra sera Mary: "dai fatti una domanda e datti una risposta". Di Marzullesca memoria. Così continuo a interrogarmi e rispondermi da solo. Ma se qualcun altro volesse partecipare...

Mi è stata sollevata un'obiezione ieri. "Anche tu modifichi e interpreti la realtà ogni volta che scegli un'inquadratura o ne rigetti un'altra". Anche Jordi quando aspetta che la composizione maturi e la scena si evolva. Anche Alberto quando preordina il suo progetto.

Vero. Vero anche quello che dicono i miei saggi amici Alberto e Pippo.

Così provo a farvi (farmi?) un'altra domanda: Fino a che punto è lecito?
Se è vero che un professionista deve portare obbligatoriamente a casa degli scatti di un certo valore estetico-formale, se è vero che per far questo può prendersi la libertà di reinterpretare anche attraverso un “set” la realtà, magari pagando delle comparse, magari mettendo in scena ciò che “lui ha visto in precedenza, ma non ha potuto cogliere fotograficamente” al momento o quanto meno non con quella perfezione estetica che gli è necessaria (e che l'editore pretende).
In fondo non altera la realtà, la ricrea! Non inganna il lettore, lo abbindola!

Allora non posso io, fotografo amatore (non professionista quindi, con tutto ciò che questo comporta nel bene e nel male, ma anche nella mia libertà rispetto al lettore dell’immagine e al referente), reinterpretare anche le mie immagini, una volta a casa, attraverso un programmino di fotoritocco?
C’era un’iguana che ha morso il dito di un turista, ma non sono riuscito a cogliere l’attimo, un copia e incolla e zac! Eccola lì, ancora attaccata al dito (magari la faccio anche un po’ più grossetta, già che ci sono). Eh, ma l’ho vista! L’ho vista davvero. E la tarantola? Che mi ha fatto sussultare e mi è venuta mossa? Zac! Solo una piccola reinterpretazione… fino a dove?

Non so se sia lecito (per me no!), ma ritengo sia come il cacciatore che anzicchè andare a caccia di leoni nella savana, li caccia nella riserva, lo fa' passeggiare un po' avanti e indietro, se poi c’è qualcuno che lo tiene fermo lo "shoot" colpisce anche il centro del bersaglio! La luce è quella giusta, lo sfondo va bene, fermo così… Bang! Preso. Che bella foto!

Si anche io forse do una mia interpretazione della realtà, ma io lo faccio tirando al volo.
Un po' di sportività, che diamine! Alberto si alza all'alba non usa i riflettori!
E un po' più di legame alla realtà.

Buone foto!

Emanuele

 
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Ultima Modifica: 2012/10/10 20:41 Da Caristofane.
 
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Re:Fotografi viaggianti e viaggiatori fotografanti 11 Anni, 7 Mesi fa Karma: 2  
ATTENTO tu semplice uomo! ATTENTO ingenuo ed inerme vittima del marketing turistico e della globalizzazione! ATTENTO piccolo turista che ti spacci per viaggiatore solo perché alla fine della giornata prendi appunti sul tuo diario!
Stai attento a cosa fotografi, attento a come lo fotografi, attento a non nascondere la verità, attento a non mentire, attento a non usare strumenti e mezzi non a norma, a non violare la legge della privacy, a dimostrare che la tua attrezzatura fotografica sia davvero stata acquistata nel tuo paese con regolare fattura, a non superare i 10 kg del bagaglio a mano. Ed ovviamente non pensare di tornare a casa con foto scadenti!


Emanuele, io mi faccio rimborsare il biglietto e non parto più! Mi dispiace dovrai andare solo!



I temi che stiamo trattando possono lasciare conseguenze e ripercussioni psicologiche importanti sul povero fotoamatore che si accinge ad uscire per la strada, o peggio ad affrontare un viaggio fotografico.

Scherzi a parte il dibattito sollevato da Emanuele, tocca in un sol colpo almeno tre diversi aspetti, a mio avviso strettamente correlati tra loro.

1. La veridicità della fotografia.
2. Le influenze turistico-iconografico, nell’operato di un fotografo/ante viaggiante/ore.
3. La moralità e l’onestà di intenti nel fotografare.

In effetti, rispetto ai moltissimi spunti suggeriti da Emanuele, questi tre aspetti mi hanno fatto riflettere. In sincerità mi sono anche un po' scoraggiato; il nostro viaggio come detto è ormai alle porte e tutta la preparazione sin ora svolta sembrava essere tutto ad un tratto inutile o addirittura controproducente.

Con riferimento alla veridicità della fotografia ed i riferimenti di Emanuele alle idee di Smargiassi (rif. “un'autentica bugia”, edito dalla Contrasto) concordo sul fatto che ogni qualvolta si produca un’immagine, a prescindere dall’intenzionalità o meno dell’autore, si viene inevitabilmente a generare un’alterazione della realtà che verrà quindi sottoposta all'osservatore (magari ignaro di tale manipolazione). Ritengo che tutto ciò sia un tema sul quale qualunque fotografo debba prima o poi riflettere e prenderne contezza una volta per tutte.
Fin dove è possibile manipolare la realtà? Esiste un limite etico oltre il quale non è corretto alterare la realtà documentata da una fotografia?
Il discorso si fa ancora più ricco di insidie, se la realtà di cui si discute è quella che dovrà essere ricercato in un luogo prescelto per un viaggio. A questo punto interviene Pippo Pappalardo, con al sua consueta delicatezza, suggerendoci infatti un testo dal titolo apparentemente innocente, che contribuisce non poco ad aumentare dubbi e preoccupazioni (rif. "L’altro e l’altrove" edito da Einaudi).
Quindi se da un lato siamo più o meno certi di manipolare la realtà attraverso la postproduzione, trasferendo il nostro "taroccato" segno ad un ignaro osservatore, dall'altro lato Pippo fa notare che esiste già una realtà manipolata che si colloca già a monte dello scatto. Siamo sicuri che le scelte del fotografo in fase di scatto non siano già condizionate dall'immagine stereotipata di quel particolare luogo, o di quel particolare popolo, che la nostra società globalizzata ci ha trasferito? Siamo sicuri che l'abitante del luogo che stiamo fotografando sia effettivamente quello che abbiamo incontrato e npn che viceversa non siamo stati spinti a ricercare quel particolare archetipo di abitante frutto dell'idea iculcataci dal marketing turistico ancor prima di partire? Siamo certi che le foto che stiamo scattando in realtà non siano state già predeterminate da qualcun altro e che senza accorgercene siamo già caduti nel tranello della globalizzazione?
Emanuele però non ancora contento del danno psicologico già causato al sottoscritto, ci ricorda che nel mondo esiste anche qualche "poco di buono" che se ne infischia del marketing fotografico, anzi che è talmente ed evoluto fotografo che piega a suo favore il meccanismo commerciale facendo diventare quello del fotografo un mestiere senza scrupoli, divenendo egli stesso suggeritore e fornitore ufficiale dell’iconografia turistica (ovviamente sto esagerando di proposito come mio costume, per tentare di rendere ancora più chiaro il problema - rif. a Follmi e McCurry)...
A questo punto, mi metto seduto e cerco una via d'uscita... inizia ad essere tutto troppo preoccupante, troppi limiti, troppi paletti, trappole ed insidie nascoste in ogni dove...

Come fare a trovare una via d'uscita? E' davvero così pericoloso? Da dove iniziare? E’ una settimana che non penso ad altro (o quasi)! Ho letto tutto d’un fiato il testo “l’altro e l’altrove” prestatomi prontamente da Pippo. Nel poco tempo libero rimasto, ho cliccato in preda al panico le pagine del Nat Geo e di Fotocrazia, alla ricerca di risposte. Ho persino messo in discussione il mio adorato Follmi, così maltrattato da Smargiassi ed Emanuele…


Occorrono risposte rassicuranti, altrimenti non si parte più!!!

Partiamo da Follmi e dal suo libro (che consiglio di leggere incondizionatamente - rif. “Consigli di un fotografo viaggiatore”). Su McCurry, di recente non ho sentito cose carine, ma sono voci di corridoio, pertanto preferisco non pronunciarmi, di Follmi invece ho una grandissima opinione. Il suo fotografare va, a mio avviso, ben oltre il posizionamento dei personaggi innanzi ad un fondale od al pagamento di un compenso in cambio di una posa; lui spesso immagina un suo mondo, ricco di misticismo, fatto di elementi diversi legati ad un luogo, ed alla tradizione storico-culturale del luogo in cui realizza il suo progetto. Lui è capace di organizzare intere spedizioni allo scopo di realizzare una sua precisa fotografia, una sua visione che non ha necessariamente il compito di documentare un luogo, ma più semplicemente di trasmettere una condizione, un’emozione. Da una sua precisa idea, legata si al luogo, ma anche ad uno stato mentale od ad uno stato d’animo, nasce un’immagine che di fatto lui “vive” in prima persona, dal concepimento fino alla possibile commercializzazione (ricordo che trattasi di fotografo professionista). Riprodurre un sogno è cosa ben diversa dal documentare una realtà. Un sogno per definizione sta su un piano diverso dal reale. Riproponilo anche con onestà, libero da ogni visione o pregiudizio, slegato da concezioni turistico iconografiche, ma sempre un sogno resta e come tale esente da qualunque regola etico morale, da qualunque canone legato agli strumenti da utilizzare per ricreare qualcosa che prescinde dal reale. Si da il caso che poi tutto ciò gli venga pure bene, venda parecchio e quindi indirettamente contribuisca non poco alla trasformazione di quel sogno in immaginario turistico… Beh! pazienza “nessuno è perfetto”!
Le considerazioni di Smargiassi (autore che stimo e seguo moltissimo anch’io) a mio modestissimo avviso potrebbero in questo caso specifico, avere alcuni limiti. Smargiassi infatti ritiene che i preziosissimi suggerimenti di Follmi contenuti nel suo libro siano già sinonimo (ovviamente semplifico e sintetizzo) di compromesso e vizio a causa di tutto ciò che sin dalla fase di progetto assume caratteri fortemente legati alla commerciabilità del prodotto finale. Ad esempio il suggerimento di Follmi legato all’attenzione da dedicare alle foto già scattate durante il viaggio, prima di tornare in patria, al fine di assicurarsi di avere ANCHE le giuste foto per una copertina (con ampi campi liberi all'interno del fotogramma da dedicare a spazio per i titoli), o per una doppia pagina (quindi conio soggetto principale distante dalla linea centrale della rilegatura) è ritenuto da Smargiassi una sincera ed ingenua “confessione”. La confessione di un qualcosa che non dovrebbe far parte di una purezza artistica legata alla necessaria mancanza di compromessi in fase di scatto. Personalmente ritengo che ciò sia un concetto un po’ troppo estremo, forse anche troppo rigido e teorico. Voglio dire che, noi tutti fotoamatori e professionisti abbiamo la necessità di fotografare. Non vorrei che si arrivasse a dire che utilizzare la regola dei terzi, o decidere di includere o meno un elemento all’interno del fotogramma, possa anche questo essere inteso come una “contaminazione”. Supponiamo che decidessi (come ho in effetti fatto) di volere produrre al rientro dal viaggio in Nepal un audiovisivo; il fatto di essere costretto a scatti orizzontali, escludendo quindi dal lavoro finale i verticali, verrebbe anche questo inteso come una contaminazione? Eppure mi pare sia equivalente alle osservazioni sulla doppia pagina di Follmi.

Per chi volesse approfondire il tema Follmi, vi invito a leggere il libro sopra citato, ed in particolare il suo racconto in merito alla foto del "tango tra le nuvole". Vero i soggetti sono stati certamente portati in quel luogo, non erano li per caso, ma quella non è solo una fotografia quella è certamente una magia, una favola, un sogno, un sentimento… che poi possa essere utilizzata da quel momento in avanti per motivi commerciali, pazienza, ma sarà quello il momento in cui “contaminerà” il lavoro di altri fotografi.
Anche la foto e la preparazione della donna seduta sull’acqua (di cui il video suggerito da Emanuele ne mostra il backstage) rappresenta a mio avviso una riflessione, un accento mistico sulla meditazione, sulla leggerezza dello spirito, sul mondo della conoscenza sulle filosofie buddiste… Se per realizzarla si devono utilizzare alcuni stratagemmi, pazienza, cosa vogliamo farci? Stiamo realizzando un progetto che parte da una idea narrativo-creativa che per essere perseguito ha bisogno di alcuni mezzi scenici. E' davvero questo che rende una foto vera o falsa?
Attenzione però, cosa ben diversa è invece ciò a cui creo faccia riferimento Emanuele: pagare qualcuno che passeggia per le strade del suo paese, fermarlo, farlo spostare sotto i riflettori 15 metri più avanti e farlo entrare in un'assoluta finzione scenica, in posa innanzi ad una bella porta o peggio ad un fondale… beh! In questo caso le cose cambiano, questo tipo di foto per ora non mi interessa!

Vorrei allora tranquillizzare tutti, e prima di tutto me stesso. Credo che ogni cosa debba essere messa sul suo giusto piano, altrimenti rischiamo di non riuscire più a fotografare in quanto succubi di decine e decine di considerazioni (per carità, tutte valide) di carattere etico-filosofico, morale o persino “tecnico”.

Discorso ancora più complicato è riferibile alle influenze sulle nostre foto ed i nostri segni, legate alla globalizzazione al marketing ed al business legato al turismo, alle insidie che si nascondono dietro una guida di viaggio, od al voler tentare di riprodurre una foto alla maniera di… Su questo però preferisco approfondire ancora un po’ per dare e darmi tempo di far ulteriormente sedimentare le mie idee a riguardo. Sapete ho un viaggio da fare che è ormai alle porte, non vorrete lasciar partire davvero Emanuele da solo!

Ciao A tutti
Scappo, c’è Peppino Leone alle Ciminiere!
Alberto
 
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Ultima Modifica: 2012/10/13 02:07 Da alb.o.
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