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Re:RIFLESSIONI SUI RIFLESSI (1 in linea) (1) Visitatore
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Discussione: Re:RIFLESSIONI SUI RIFLESSI
#8555
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Lee Friedlander - Colorado - Autoritratto - 1967

 
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#8556
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Dal lavoro "Mannequin" - Tucson 2011

 
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#8623
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Re:RIFLESSIONI SUI RIFLESSI 10 Anni, 7 Mesi fa Karma: 2  
(...)
La città si rispecchia in migliaia di occhi, in migliaia di obbiettivi. Non sono solo il cielo e l'atmosfera, non solo le reclame luminose dei boulevard ed aver fato di Parigi la "Ville Lumiere". Parigi è la città dello specchio: liscio come uno specchio è l'asfalto delle sue strade per le automobili. Vetrate dinnanzi a tutti i bistrò: qui le donne si guardano anche più che altrove. La bellezza delle parigine è uscita da questi specchi. Prima che gli uomini le guardino, hanno già controllato dieci socchi. Una profusione di specchi circonda anche l'uomo, anzitutto al caffè (per renderlo più luminoso all'interno e dare una spaziosità piacevole a tutti gli steccati e recinti nei quali si suddividono i locali parigini). Gli specchi sono gli elementi spirituali della città, il suo scudo araldico nel quale sempre si sono iscritti gli emblemi di intere scuole letterarie.
Come gli specchi restituiscono ogni riflesso immediatamente, solo rovesciato, allo stesso modo opera la tecnica delle battute nelle commedie di Marivaux. Gli specchi proiettano l'esterno in movimento, la strada, nell'interieur di un caffè allo stesso modo in cui un Hugo, in Vigny amavano catturare gli ambienti e collocare le loro narrazioni dinnanzi ad un "sfondo storico".
Gli specchi se sono appesi appannati e sporchi nelle bettole sono il simbolo del naturalismo di Zola, quelli che si riflettono l'uno dentro l'altro in una serie senza fine fanno pendant a quell'infinito ricordo del ricordo nel quale la penna di marcel Proust ha trasformato la propria vita. Quella recentissima racconta di fotografie, intitolata paris, si chiude con l'immagine della Senna. Essa è il grande specchio, sempre desto, di parigi. Ogni giorno la città proietta come immagini in questo fiume le sue solide costruzioni e i suoi sogni fra le nuvole. Esso accoglie benignamente queste offerte e, in segno del suo favore, le rompe in mille pezzi.

Walter Benjamin "Immagini di Città"
 
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Ultima Modifica: 2014/03/18 11:27 Da alb.o.
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#8650
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Re:RIFLESSIONI SUI RIFLESSI 10 Anni, 7 Mesi fa Karma: 2  
Berenice Abbott (1898 – 1991)

Berenice Abbott deve buona parte della sua prima formazione, e delle influenze di cui essa fu intrisa, alla compagnia con la quale condivise una grande casa nella Greenwich Avenue a New York. Tra i suoi coinquilini la scrittrice Djuna Barnes, il filosofo Kenneth Burke, ed il critico letterario Malcolm Cowley. L'altra grande influenza sulla sua formazione derivò dal suo incontro con Man Ray e Sadakichi Hartmann in Europa ove studiava scultura. Sin dall'inizio della sua carriera quindi, la Abbott fu aperta a diverse influenze e punti di vista. Non è un caso qundi che durante la sua carriera arrivò anche a pubblicare poesie nella rivista di letteratura sperimentale “Transition”.

Inizia la sua avventura in fotografia da assoluta ignorante, come assistente in camera oscura di Man Ray nel 1923.


"Mi avvicinai alla fotografia come un'anatra si avvicina all'acqua. Non ho mai voluto fare niente altro."


Nel 1926 tenne la sua prima mostra personale e avviò un suo studio.
Dopo un breve periodo passato a studiare fotografia a Berlino, fece ritorno a Parigi nel 1927 e avviò un secondo studio.

Lavori della Abbott passarono in mostra a Parigi insieme a quelli di Man Ray, in importantissimi luoghi parigini.
La sua ritrattistica era insolita (per il periodo storico in cui veniva proposta) e di alto pregio, le influenze del surrealismo si facevano certamente sentire.

Nel 1925 venne introdotta da Man Ray alla fotografia di Eugène Atget di cui divenne una grande ammiratrice, sponsor e divulgatrice.
Nel 1927 riuscì a convincere Adget a posare per un ritratto. Atget morì poco tempo dopo e quel ritratto resta impresso e riportato in tutti i libri di storia della fotografia. Dopo la morte del fotografo parigino, la Abbott riuscì ad acquistare diverse sue stampe e negativi, e iniziò rapidamente a lavorare alla loro promozione, fino alla pubblicazione di alcuni libri di cui il primo “Atget, photographe de Paris”, nel quale compare come curatrice. Il lavoro della Abbott a vantaggio di Atget sarebbe continuato fino alla vendita del suo archivio nel 1968. Oltre al suo libro "The World of Atget" (1964), fornì le fotografie per "A Vision of Paris" (1963), pubblicò un portfolio "Twenty Photographs", e scrisse dei saggi.

Nel 1929 Berenice Abbott iniziò ad indagare con assiduità la città di New York, attraverso l’ausilio di una macchina fotografica a grande formato.
Nel 1935 si trasferì in un loft al Greenwich Village, con la critica d'arte Elizabeth McCausland, con la quale visse fino alla morte di questa nel 1965. Le due collaborarono a un lavoro sostenuto dal Federal Art Project e pubblicato nel 1939 sotto forma di libro dal titolo “Changing New York”.
Fu in quel periodo che tutti gli artisti newyorkesi iniziavano a popolare il quartiere del Greenwich contribuendo come spesso accade in questi casi a farlo divenire il quartiere che oggi tutti i turisti conoscono. In quel periodo l'alta concentrazione di artisti in uno stesso fazzoletto, consentiva l'ulteriore cerscita e diffusione di novità ed iniziative artistcio culturali importanti.

Nel 1934 Henry-Russell Hitchcock chiese alla Abbott di fotografare due soggetti: l'architettura prebellica e l'architettura di H. H. Richardson.
Intorno al 1954 la Abbott e la McCausland viaggiarono lungo la US 1 dalla Florida al Maine, e la Abbott fotografò le piccole cittadine e la crescente architettura legata all'automobile. Poco dopo la Abbott subì un intervento ai polmoni. Le venne detto che a causa dell'inquinamento dell'aria sarebbe stato nel suo interesse allontanarsi da New York. Comprò una casa diroccata nel Maine per soli mille dollari e vi rimase fino alla sua morte.
La ricordiamo anche per il suo importante contributo alla fotografia scientifica. Nel 1958 produsse infatti una serie di fotografie per un libro di testo di fisica per le scuole superiori.
Il lavoro di Berenice Abbott nel Maine continuò anche dopo la fine di quel progetto e il suo trasferimento in tale stato, e produsse il suo ultimo libro "A Portrait of Maine" (1968).
La Abbott fece parte del movimento della “straight photography”, che sottolineava l'importanza di avere fotografie non manipolate né per quanto riguarda il soggetto, né per quanto riguarda il processo di sviluppo. Era inoltre contro i pittorialisti.

 
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Ultima Modifica: 2014/03/18 11:25 Da alb.o.
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Re:RIFLESSIONI SUI RIFLESSI 10 Anni, 7 Mesi fa Karma: 2  
Berenice Abbott was one of the tiny horde of Midwestern Yankee Americans who in the 1920's temporarily reversed the Course of Empire, and transferred the center of American cultural life to Paris. She arrived there in 1921 as a sculptor, and continued her studies with Emile Bourdelle. In 1923 she became an assistant in the photography studio of Man Ray, and two years later she first saw the photographs of Eugene Atget. She was irrevocably marked by the pure photographic authority of his work, and any remaining question as to her own life's work was settled.

In 1926 she opened her own portrait studio, and for the next three years photographed with honesty and grace the great and the famous of that city's intellectual world. In Paris the supply of artists, artistic celebrities, and salonistes seemed inexhaustible, and Abbott photographed many of them.
One of most moving of her portraits is one reproduced here of James Joyce. The grey, strangely lifeless, enveloping light finds its way everywhere, describing without emphasis or favor the writer's stickpin, his hands, his right ear, his fine beaver hat, the deep tiredness of his elegant slouch. He seems the survivor of too difficult a battle, shell-shocked by the terrible labor of putting so many words in the precisely proper order.

He was burdened at the time not only by exhaustion but by the pirating of his work, by his wife's serious illness, by deadlines, and by his degenerating eyesight. He wrote to Harriet Shaw Weaver: "There are moments when I feel 20 but also half-hours when I feel 965." Possibly he meant 969, Methuselah's final age, but considering the precision of Joyce's mind it is more likely that he meant he felt four years younger than that.


text from "Lo0king at Photographs " by John Szarkowski


 
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Ultima Modifica: 2014/03/18 16:21 Da alb.o.
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Re:RIFLESSIONI SUI RIFLESSI 10 Anni, 7 Mesi fa Karma: 2  
Florence Henri (1893 - 1982)

Nasce a New York da padre francese e madre tedesca. Studia pianoforte e diventa presto concertista. Costretta ad abbandonare a causa dell'incombere della prima Guerra Mondiale, si dedica alla pittura, studiando a Berlino, Monaco e Parigi. Proprio a Berlino nel 1921 conosce tra gli altri Richter e Moholy-Nagy, oltre a molti altri esponenti del Dadaismo e del Costruttivismo. Dal 1924 segue i corsi dell'Academie Moderne di Leger e Ozenfant. Nel 1927 si iscrive al Bauhaus di Dessau e segue il corso propedeutico tenuto da Moholy-Nagy e Albers. E’ in quel momento che inizia ad utilizzare la macchina fotografica.

“Le fotografie che fece al Bauhaus ed in seguito a Parigi erano un misto innovatore di costruttivismo e surrealismo” (Van Deren Ce: Avantgarde Photography in Germany, 1919-1939).

Dopo aver partecipato nel 1929-1930 alle grandi esposizioni internazionali “Photographie der Gegenwart” e “Film und foto” si dedica interamente alla fotografia, aprendo uno studio e realizzando foto pubblicitarie, di moda, reportage e ritratti. Nel secondo dopoguerra interrompe l'attività di fotografa dedicandosi prevalentemente alla pittura.

Le influenze che scaturiscono dalle sue frequentazione e dalla sua cultura, sono evidenti nelle sue fotografie ed in tutta la sua arte. Impossibile trascendere dalle contaminazioni delle avanguardie del primo novecento che esaltano con forza buona parte della sua produzione artistica.
E’ sempre stato costante lo stimolo a fare ricerca al fine di rispondere al bisogno di andare la di là dell’evidenza della realtà. Nel suo complesso l’opera dell’artista si presenta coerente, nonostante la differenza dei medium utilizzati, “la grande sperimentazione fotografica alla fine degli anni Venti, caratterizzata dall’uso degli specchi che l’hanno resa celebre, trova riscontro anche nella pittura dei paesaggi che adottano gli stessi principi di suddivisione astratta dello spazio, distrutto e frammentato in differenti zone colorate”.


 
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Ultima Modifica: 2014/04/02 10:59 Da alb.o.
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