La Storia perde un suo testimone.
Giorno 30 gennaio, Romano Cagnoni, indiscutibilmente tra i migliori reportagisti del nostro tempo, dopo lunga malattia, ci ha lasciato.
Io l’ho conosciuto, e il parlare con lui (alquanto schivo, di poche parole ma capace di tenerezze sopraffine) è rimasto una riserva personale di umanità che mai potrò dilapidare.
Lo conobbi tramite Arturo Safina che lo aveva avuto maestro e sodale nella comune avventura fotografica. In quella circostanza, mi insegnò un fondamentale criterio da utilizzare in fotografia, quando se ne fa la storia, la critica, la pratica; ovvero che c’è una fondamentale distinzione da tenere presente ed è quella tra la vicenda esistenziale dei fotografi e la vita effimera, quanto illusoriamente eterna, delle loro opere.
Nel momento del mio primo incontro, però, mi interessava entrare nel mito dell’eccellente fotografo che si era formato tra le cave dei marmi di Pietrasanta; quel fotografo che aveva capito, in quel di Londra, il valore critico e politico del suo fotografare.
Mi interessava conoscere il compagno d’avventura del grande Simon Guttmann; mi premeva conoscere il primo fotografo indipendente che cominciò a testimoniare l’inferno e le contraddizioni del Vietnam; e avevo davanti a me l’autore del ritratto, forse, più diffuso nella storia della fotografia, quello di Ho-Chi-Min; parlare con il paladino delle miserie del Biafra; con l’osservatore esemplare del conflitto palestinese¸ con lo scrutatore perplesso sulla nascita di una possibile identità europea.
Quindi, averlo conosciuto non è stata solo l’occasione di una seduta esegetica per capire come fosse nato quello o quell’altro scatto, ma anche per capire quando la dignità dell’artista e del fotografo va difesa al di là della storia, delle mode e dei capricci degli enciclopedisti.
E Romano è stato testimone di una sinistra che ha dato il sangue per difendere i propri ideali ed ha pagato in prima persona certi ostracismi e certe disattenzioni magari di quei compagni che hanno preferito la società dello spettacolo e dell’assenza di pensiero.
Mi mancherai, caro amico. Mi mancherà l’avventura umana del tuo lavoro, la tua incitazione ad andare oltre le convenzioni, oltre la banalità dei compromessi quotidiani; e capire.
Era il 25.5. 2013 e Tu brindavi con noi ... al piacer dell'amicizia.
Grazie a Te, con Arturo adesso guardo, guardiamo, benevolmente la vita. Ed allora via con il tuo motto: "forza e resistenza"
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