Ovviamente le
Verifiche non si riducono a quanto finora qui pubblicato.
Perché le
Verifiche stanno all’interno di queste
“riflessioni”?
Le
“riflessioni” non sono altro che ragionamenti a voce alta: la ricerca dell’errore, il tentativo di sbagliare, il bisogno di serendipia nascerà pure da qualche motivo più profondo?. Perché parlare di riflessi prima, di errori poi … e se ci penso più a fondo, di maschere, di neri, di progetto e del senso della fotografia oggi? Avrei forse potuto studiare e parlare di altro, ed invece no. Gli argomenti sono questi e tutti correlati tra loro.
Ricostruisci il percorso fatto sinora e come mi piace fare, unisco i puntini (ricordate la settimana enigmistica?) ed a tutto si trova un perché!
Credo che le questioni fino ad oggi trattate siano tutte frutto di un'unica riflessione, figlia a sua volta di uno stesso turbamento di base, del bisogno di trovare una direzione da percorrere, alla ricerca di quella che possa somigliare alla fotografia che mi interessa: tutte sfaccettatura di una stessa medaglia insomma.
Allora le
Verifiche di Ugo Mulas del 1972? Io sarei nato l’anno successivo e questo mi tranquillizza ulteriormente. Le
Verifiche non sono fuori dal mio tempo...
Da quel momento molti fotografi abbracciarono un certo
“ripensamento fotografico”, intendendo la fotografia non più come
“unicum privilegiato del vedere, ma come parte di un insieme concettuale e percettivo ben più complesso ed articolato” (
Mario Cresci “Future Immage”).
Ugo Mulas nelle
Verifiche non fa altro che fornire una strada alternativa, rimettendo in discussione dogmi e presunte certezze storiche della fotografia, derivanti dalla cultura fotografica che in Italia si diffondeva attraverso i circoli fotografici amatoriali/professionali. A seguito dei suoi colloqui a New York con
Marcel Duchamp, Mulas fa sua la frase del
Maestro: “Perché non provi a fotografare per te stesso e non solo per gli altri?”.
Ugo Mulas intuì che il fotografo è libero di scegliere, sempre. Il fotografo può decidere di andare oltre il referente, al di là di ciò che vede nella realtà, lasciando spazio al proprio inconscio ed alle proprie emozioni. Libero di
“sbagliare” insomma come e quando vuole. Libero di entrare ed uscire dalle proprie crisi spesso generate dalla stessa assenza di regole guida e schemi espressivi precostituiti, collaudati, certi e spesso presi in
"prestito" da altri.
Si tratta certo di far tesoro e sfruttare questa possibilità nel miglior modo possibile, senza trascendere in complicati intrecci che finirebbero solo per suscitare disattenzione ed incomprensione, privilegiando il giusto equilibrio tra “cosa” e “come”. Si Pippo, certamente il complesso vince il complicato perde. Il pensiero quindi dovrebbe nascere, nutrirsi ed infine tradursi e sintetizzarsi nella sua fase finale in immagini: ossia in una magia creativa che io chiamo progetto.
Per la prima volta nella storia della fotografia italiana un fotografo aveva intuito che i segni possono anche perdere contatto con il significato delle cose. La fotografia (come altre arti contemporanee per la verità) iniziava a mostrare strade alternative, altrettanto valide da poter essere percorse ed indagate. Il pensiero diventa il fulcro di questo nuovo modo di vedere le cose del mondo attraverso se stessi. Allora non solo il “vedere” ma anche il “sentire” il mondo, liberi, senza vincoli, senza dogmi, senza regole e felici di sbagliare.