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Il recinto dell'arte PDF Stampa E-mail

di Daniela D’Arrigo

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Rivedo un film di Giuseppe Tornatore “La leggenda del pianista sull’oceano”. Il protagonista, Danny Boodman T.D. Lemon Novecento, dopo trentadue anni, sta per scendere per la prima volta in vita sua dal Virginian, il transatlantico che fa la spola tra Europa e Stati Uniti, deciso a visitare la città di New York. Non va oltre il terzo gradino della scaletta che si blocca; sta qualche minuto fermo a scrutare la città, sospeso tra la nave e la banchina, e senza dire una sola parola gira i tacchi e risale sul Virginian, lasciando i membri dell’equipaggio che lo osservano con un punto interrogativo grande quanto l’oceano.

Qualche tempo dopo spiegherà a un suo amico, prima di farsi saltare in aria assieme alla ‘sua’ nave imbottita di esplosivo che si ostina a non volere abbandonare, il significato del suo gesto: “Tutta quella città… non se ne vedeva la fine... Non è quel che vidi che mi fermò. E’ quel che non vidi… C’era tutto ma non c’era una fine… Quel che non vidi è dove finiva tutto quello… Strade a migliaia... come fate voi laggiù a sceglierne una?” e poi cercando di rendere ancora più esplicito il suo punto di vista “Io sono nato su questa nave. E qui il mondo passava, ma a duemila persone per volta. E di desideri ce n’erano anche qui, ma non più di quelli che ci potevano stare tra una prua e una poppa...” Questo è il punto di vista di Danny Boodman T.D. Lemon Novecento “… il mondo... ma a duemila persone per volta...” E’ così che quell’uomo vuole vedere, conoscere, esplorare il mondo: duemila persone per volta. La quantità sulla quale è calibrata la sua capacità cognitiva, il suo compenetrarsi col mondo che gli sta intorno. Frammenti di umanità, piccoli numeri, scaglie di realtà … due corpi che lottano nella sensualità di un tango…, una bambina che tenta di scrivere le sue prime incerte parole sul quaderno a righe aiutata dalla mano sicura e protettiva della nonna..., un bacio tra un uomo e una donna di mezza età che fiorisce nel caos di una metropolitana... No, non è più il film che sto guardando; sto guardando le mie foto. Le mie scaglie di realtà, i miei segmenti visivi, le mie molecole di umanità. Come il pianista Novecento io guardo queste foto ed esploro la realtà due corpi alla volta... due mani alla volta... un bacio alla volta… “… duemila persone alla volta...”. Egli, Danny Boodman T.D. Lemon Novecento, vede sfilare davanti a sé il mondo degli uomini dentro i confini di un’imbarcazione, nel campo salmastro di un ponte d’acciaio intorno al quale si stende l’oceano senza contenimenti; io sto qui con la mia foto tra le mani, questo miracoloso, tascabile transatlantico all’interno del quale scompongo la realtà che scivola via e la costringo a vivere nella evanescente cattività di una cornice 20x30.

darrigotango.jpg Il mio Virginian... a bordo del quale il caso, l’anonimato, il caotico susseguirsi dei fatti assume i lineamenti di un fatto unico. Di un fatto artistico se solo la Musa è propizia... E’ questo il codice segreto attraverso il quale il mondo mi si rende intelligibile: il suo stare nei limiti. Nei limiti fisici e sfuggenti di una cornice. Stringo tra le dita questa immagine chiusa nella sua cornice dentro la quale ciò che rimaneva inintelligibile, indistinguibile, confuso, irrilevante nel fiume di percezioni da cui siamo bombardati, adesso rileva, si legge, si distingue e smette di confondersi per trasfondersi in ciò che diviene una realtà-per-me: un mondo circoscritto, limitato e incorniciato che finalmente trova tempo per parlarmi, per farsi riconoscere. Un mondo che mi si dischiude nel mentre lo chiudo, che mi parla nel momento in cui lo rendo muto, che mi compenetra nell’istante in cui me lo tolgo di torno, me lo allontano e infine lo recinto nella salvifica geometria della mia cornice di cartoncino. Un mondo in vetrina: riconfigurato e compresso secondo i principi della mia sensibilità estetica. Ecco la mia fotografia. Un mondo nel mondo. Una cellula staminale nella quale sono stipati in potenza tutti i segreti di un fiotto di luce che la cornice del mio apparecchio fotografico (sto inquadrando… quante storie litigano per stare dentro il mio rettangolo...?) rapisce all’impeto della cascata e che ancora un’altra cornice (tengo tra le mani il mio Virginian di cartoncino 20- x30...) decifra, lasciando che l’immagine racconti la sua storia. Una storia per me. Una storia per chiunque stringa in mano quella stessa cornicetransatlantico. Una storia che aspira a diventare anch’essa arte. L’universo, col suo flusso di percezioni impazzite, si schianta sui bordi bianchi di una fotografia, per frantumarsi, liquefarsi e subito dopo ricomporsi in un discorso dotato di senso: un frammento di tessuto vitale rubato alla realtà per spiegarci la realtà. Fuori la nave - L’oceano indistinto / Dentro la nave – Il mondo duemila persone alla volta. Fuori la cornice - La realtà indistinta / Dentro la cornice – La storia che prende vita. Chiudo gli occhi e lascio sparire i bordi di questa foto; di colpo tutto quello che ci sta dentro fugge a precipizio verso la sterminata galassia dell’indifferente. Dell’in-comunicabile.

darrigo2.jpgLa linea si spezza e la storia narrata, con la sua arte e il suo repertorio di emozioni, comincia a zampillare fuori dalle mie mani senza contegno e senza contenimento… i miei ballerini rimangono senza musica..., le mie mani sul quaderno a righe smettono di imparare e di insegnare, di proteggere..., il mio bacio in metropolitana smette di fiorire e svanisce in mezzo alla gente che schiuma via... ho spezzato la trincea, il limite, la cornice… non sento più nulla, tutto è rifluito nella dimensione di una totalità indecifrabile. Carezzo i bordi della mia foto, le cornici dei miei quadri e rifletto su quanta parte abbiano queste linee di confine, queste frontiere di significato nella costruzione di ciò che chiamiamo ‘un’opera d’arte’. Riapro gli occhi e mi trovo ferma al terzo gradino della scaletta; mi volto e risalgo in fretta verso il mio piroscafo. Voglio esplorare la realtà, tutta la realtà possibile a condizione che mi si faccia avanti al ritmo di due corpi alla volta..., due mani alla volta..., un bacio alla volta… Voglio sentire il brulichio che vive dentro ogni limite. Dentro ogni cornice. Dentro le mie foto. Ma vi prego: “… non più di duemila persone per volta...”

 
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