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Re:RIFLESSIONI: IMPARARE A SBAGLIARE (1 in linea) (1) Visitatore
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Discussione: Re:RIFLESSIONI: IMPARARE A SBAGLIARE
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Re:RIFLESSIONI: IMPARARE A SBAGLIARE 10 Anni, 3 Mesi fa Karma: 2  
Futurismo? O nuova interpretazione del Futurismo?

Prima di procedere ad una rapida carrellata di esempi illustri, provando a scoprire le motivazioni che stanno dietro l'operato di alcuni tra i più importanti (e non solo) fotografi vagabondi, mi pare opportuno valutare qualche importante radice storica di alcuni tra gli "errori" più importanti della Fotografia.

Il binomio futurismo e fotografia, ad esempio, nasce e si mostra al pubblico essenzialmente come il rifiuto della fedele riproduzione fotografica della realtà. Il futurismo si propose sin dall’inizio del novecento di interpretare in senso percettivo, quasi metafisico, la fotografia per come sino ad allora conosciuta.

“La fotografia cercò quindi di riscattare l’immagine meccanica dalla sua povertà naturalista, rifiutando la sua verità strumentale (atta a riprodurre solo materia) e creando immagini in grado di esprimere lo svolgersi fluido e incessante dello slancio vitale, a tradurre la realtà come immanenza del divenire”1.

La “sensazione” del movimento e la percezione della fluida energia vitale, come espressione di atto, di velocità di realtà generatrice del visibile divenire, divennero i due capisaldi ispiratori della fotografia futurista trasformando la staticità meccanica sin ad allora immagine “paradossale” del movimento, in un’interpretazione soggettiva e dinamica sotto forma di nuova interpretazione del vero e di ciò che è reale. Un bisogno imprescindibile dunque si manifestò nel voler fissare la realtà attraverso il suo dinamismo, smaterializzandone forme apparenti e ricercando “la vita colta nel suo apparire rapido e fugace” (Anton Giulio Bragaglia “Fotodinamismo futurista”, 1913).

Successivamente si svilupparono nuove ed originali tecniche (1920-1930) quali ad esempio il fotomontaggio (con una sua variazione in cui venivano incollati anche disegni, e non solo combinate diverse foto, in un'unica immagine) che segnarono la via anche per le avanguardie straniere. In questo contesto da non sottovalutare la continua sperimentazione, tipica della corrente artistica, si pensi ad esempio a Filippo Masoero con la sua aerofotografia a diaframma aperto.

Attenzione, a mio modesto avviso, il merito del futurismo può stare nell'errore del "come" piuttosto che del "cosa", anzi direi (ma magari approfondiamo più avanti) che l'idee del mondo ideale ricercato dai futuristi, sia un errore che sarebbe stato bene non perseguire, non appoggiare, anzi opporsi fermamente come avvenne dall'altro lato del mondo attraverso la scuola americana... Dire che sull'argomento non posso che non far mio il pensiero di un gruppo di grandi fotografi italiani, che di recente mi è capitato di far mio attraverso le parole di Giovanni Chiaramonte. Come detto però ne parleremo un po' più avanti, per non mettere troppa carne sul fuoco.

Oggi per qualcuno il mosso è certamente una nuova interpretazione del futurismo, nessun dubbio, il mosso viene spesso usato sistematicamente come espressione del movimento e del continuo divenire. Ritengo che ciò sia lecito ed assolutamente legittimo, ma il mosso moderno, il mosso di oggi non dovrebbe superare o meglio aggiungere qualcosa di nuovo alle conquiste teorico pratiche della prima metà del novecento? Il tempo scorre, ed aggiunge, non sottrae. Ed allora credo sia importante, essendo parte del DNA dell’uomo, prendere contezza della ricerca di qualcosa che vada oltre, che sviluppi, che aggiunga… Non è una semplice operazione di addizione, ma andrebbe vista come una nuova interpretazione ed un arricchimento. Non è da intendere necessariamente come una nuova invenzione, ma certamente una nuova interpretazione. Duchamp capì che per creare qualcosa di nuovo, non occorre inventare o scoprire nulla di più di ciò che già esiste. Il mondo offre tutto ciò che serve, basta scovarlo e stravolgerne l'essenza. Ecco quindi che a mio avviso una fotografia moderna, eseguita per scelta utilizzando queste tecniche, deve avere fondamenti ben più radicati affinché possa non essere solo una riproposta celebrativa ed anacronistica del “futurismo passato”. Da questa convinzione personale e da profondo amatore di questo linguaggio, mi sono riproposto di sbirciare un po’ tra alcuni autori che per me ne rappresentano i “patrones”, al fine di carpirne le novità le motivazioni e le scelte che li hanno portati a scegliere questo peculiare linguaggio fotografico.

(to be continued)




1. Cinema e Fotografia Futurista, Lista Giovanni, 2001 SKIRA
 
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Ultima Modifica: 2014/01/03 01:30 Da alb.o.
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Re:RIFLESSIONI: IMPARARE A SBAGLIARE 10 Anni, 3 Mesi fa Karma: 2  
I rischi dell'affezionarsi all'estetica dell'errore, sono sempre dietro l'angolo ed allora bisogna sempre fare molta attenzione e ricercare come al solito verifiche e suffragio in chi sul campo ha "fatto" più di noi e meglio di noi… Studiamo, approfondiamo e cerchiamo di chiederci il perché delle cose! Magari perché no, utilizziamo la storia per fare chiarezza e ricordarci sempre quali sono le strade maestre da non abbandonare. Impariamo a sbagliare, ma restiamo sempre coerenti ai nostri propositi, alle nostre idee di fondo e portiamo avanti una Fotografia più viva, più fervida, meno scontata, ma sempre nel rispetto di quello che intendiamo essere il nostro compito di fotografo… Ad ognuno il suo certo, ma chiarezza d'intenti sempre...

In questi giorni stiamo affrontando in sede il tema del paesaggio, ed allora vi dico io qual'è la verità sul paesaggio…

Noi italiani moderni siamo senza passato, noi dovremmo negare il passato per dimenticare e dimenticare in arte vuol dire rinnovarsi. La distruzione del paesaggio tradizionale che fu inventato dagli artisti del passato è necessaria. Noi non possiamo pensare senza disgusto e con passione che esistono società per la conservazione del paesaggio. Ma i paesaggi che oggi si vogliono conservare non esistono forse sul posto ed in virtù di altri distrutti o trasformati? Conservare che cosa? Imbecilli! Come non fosse infinitamente sublime lo sconvolgere che fa l'uomo sotto la spinta della ricerca, della creazione. Squarciare , sfondare, forare, innalzare per questa divina inquietudine che ci spara nel futuro.



Ecco finalmente l'ho detto!



Cosa succederà adesso?



Mi spiego meglio, prima che inizi a ricevere telefonate minacciose!

L'assunto sopra riportato non è il mio. E non è mia neanche l'idea di spacciarlo come proprio all'inizio di una dissertazione.

Nello specifico, Giovanni Chiaramonte iniziò così un suo famoso intervento sul paesaggio tra paesaggisti… Vi immaginate la reazione della platea mentre questo signore gli diceva che il paesaggio non esiste, che andrebbe distrutto per costruire il nuovo, etc. etc. O quando poi li chiama "imbecilli". Eppure, attenzione attenzione, l'assunto sopracitato che si potrebbe quasi virgolettare è di un tal Umberto Boccioni, pittore futurista che nel 1914 scriveva quello che avete appena letto.

Sono passati 100 anni e se un pensiero come quello non viene contrastato sin dall'origine, finisce inevitabilmente per diventare pensiero comune. E quando questo diventa pensiero comune, diventa comportamento e si trasforma in scelte politico economiche. Il risultato? Gli scempi di paesaggio, le cementificazioni, le trasformazioni, gli ecomostri, etc. etc. Benvenuti in Italia!

Boccioni ed i futuristi vedevano l'America come negazione del passato, come paese futurista per eccellenza. In effetti non era così, si trattava solo di proiezioni di uomini, che immaginavano quel luogo in quel modo e lo eleggevano ad esempio, basandosi su dati non reali.

Cosa succede in America in quegli anni?
In quel momento l'Avanguardia americana (Paul Strand tanto per fare un nome) sosteneva che la via dell'arte e della fotografia non poteva seguire la strada dei futuristi italiani. Nel 1922 Paul Strand scriveva: "attraverso lo scienziato gli uomini hanno consumato un nuovo atto creativo, una nuova trinità, la macchina come Dio, l'empirismo materialista come Figlio e la scienza come Spirito Santo, e nell'organizzazione di questa Chiesa moderna, l'artista non ha giocato una gran parte. Egli si trova oggi nella posizione simile a quella dello scienziato nel Medio Evo, quella di un eretico rispetto ai valori dominanti. Noi non siamo particolarmente vicini all'entusiasmo alquanto isterico dei futuristi italiani verso la macchina. Noi in America non stiamo combattendo come può essere abituata l'Italia a favore di un nevrastenico abbraccio al nuovo Dio. (…) Non solo il nuovo Dio, ma l'intera trinità deve essere assolutamente umanizzata prima che ci disumanizzi. (…) Il fotografo ha riunito le vie dei veri ricercatori della conoscenza, sia ricercatori per la intuitiva estetica, perché la fotografia produce un'immagine che è sempre frutto di un'intuizione e della nostra cultura visiva, sia per quella concettuale scientifica, perché i fotografi utilizzano una macchina".

E quindi si può attraverso una macchina, protagonista della procedura di disumanizzazione futurista (causata dalla macchina in senso lato) generare un fattore di umanizzazione? Basta utilizzare la tecnica e la macchina fotografica non per creare immagini di intrattenimento, fondate sul dato di gradimento del pubblico (mi piace, bella, ) legate come detto più volte già nel corso di questi primi post, ma utilizzarla in altro modo.

Operando come dicono Strand e Chiaramonte, il fotografo così come l'artista devono essere testimoni di una dimensione della vita contemplativa. Come? Attrverso le loro opere. Il fotografo e l'artista sono testimoni dell'umano. Ora ovviamente tutto può essere considerato umano, ma bisogna essere testimone della vita umana contemplativa (da con - templo) ossia guardare il mondo come una cosa Sacra, e custodirlo attraverso le proprie opere.

Allora in America, lo scempio paesaggistico che avviene in Italia non è presente, probabilmente perché quell'avanguardia artistica in opposizione ai futuristi italiani, non faceva attecchire idee "pericolose".

Adesso, quindi, è chiaro che la varianza che si palesò all'inizio dei secolo scorso, divenne poco alla volta corrente di pensiero e cultura generalizzata. L'idea, i concetti innovatori e rivoluzionari di Boccioni e compagnia, presero via via corpo fino a trasformassi in opinione diffusa. Divenne quello il modo di proporre e proporsi in termini artistici. Oggi viviamo in un momento di massificazione globale entrato ormai in crisi sotto ogni punto di vista. Il modello occidentale è divorato da una crisi battente che si sovrasta da anni. Probabilmente è già in gran fermento il mondo artistico che notoriamente per primo si muove verso quello che sarà. Da qui secondo me la necessità di riprendere a sbagliare. Abbandonare gli schemi socio economici classici, il nostro mondo lo richiede. Allora è forse per questo desiderio di cambiamento che personalmente anche in fotografia alcuni interrogativi mi assillano e richiedono risposte. Imparare a sbagliare allora diventa importante, impellente, quasi necessario. Sbagliare vuol dire voltar pagina, trovare un'alternativa, darsi una traccia ed una direzione… come detto bisogna imparare e sbagliar bene, senza far danni...

…e come sempre sentito non è un caso che Paul Strand realizza "Un paese" in Italia.


Per ora mi fermo qui… non prima di averVi augurato

Buon Natale
 
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Ultima Modifica: 2014/01/03 01:56 Da alb.o.
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Re:RIFLESSIONI: IMPARARE A SBAGLIARE 10 Anni, 3 Mesi fa Karma: 2  
L’irresistibile necessità di trasmettere una vibrazione

Concentriamoci sull’errore del “come” allora. Evitiamo di mettere in discussione il cosa fotografare lasciando ad ognuno la sua strada. Proviamo a restare concentrati su tecniche e modi diversi rispetto alle regole canoniche e ritorniamo al punto di partenza di marco Pinna.

Cosa spinge un fotografo ad utilizzare il mosso? Qual è e da dove nasce quella irresistibile necessità di dover assolutamente trasmettere una vibrazione al lettore? Perché il mosso? Esistono altre motivazioni oltre a quelle individuate dal pittorialismo o dal futurismo che spingono verso queste particolari tecniche di ripresa?

Tra le scelte tecniche di ripresa utilizzate dal fotografo il mosso diventa un mezzo di espressione, una parte di un linguaggio od addirittura un linguaggio completo. Questo è un atteggiamento un modo attraverso il quale sviluppare un’idea, da ciò occorre certamente cercare l’idea e capire il “perché”, altrimenti non può essere chiaro il messaggio finale del fotografo (ammesso che non ci si voglia invece limitare a trovare una propria interpretazione di ciò che si vede e legge). Poi esiste un mosso proprio delle cose, forse solo di alcune o forse del mondo intero.

Per me il mosso è il rappresentare l’invisibile, fatto di esperienze e vite nascoste che si annidano ed evolvono parallelamente "nel tempo infinitesimo, compreso in un istante". Se posso parafrasare ancora una volta Italo Calvino, sono “realtà invisibili”, alternative, immaginarie ma reali, verosimili ed improbabili. In fondo Zaira, Tamara, Anastasia, Zora e tutte le altre città della memoria, del desiderio ma anche quelle dei sogni, insomma tutte le città nascono e si sviluppano nel genio di Calvino, ma non solo! Per me esistono, vivono e si alimentano in dimensioni alternative della realtà, in spazi personali che ci costruiamo e che per tanto esistono!!! Basta trovarle e narrare di questi luoghi...

Ovviamente esistono diverse altre interpretazioni, tutte valide ed affascinanti, oltre che molto autorevoli delle mie, ed alle quali mi sento molto vicino sino spesso a sconfinare ed appropriarmene alla scoperta dei miei “perché” dei miei “come” e persino dei “cosa”, ahi ancora una volta il “cosa”. Alcune sono spesso anche dettate dalla necessità o dalle situazioni al contorno, dettate dalla concitazione della scena e/o dalla paura al momento dello scatto, basti citare lo sbarco in Normandia del grandissimo Robert Capa, ma anche del contemporaneo ed ottimo Pietro Masturzo che nel “sui tetti di Teheran” così come in altri lavori altrettanto impegnati e socialmente a rischio per i quali avendo spesso la necessità di non far riconoscere i protagonisti del suo reportage per salvaguardarne l’incolumità, risolve con il mosso. Si ricorre al mosso per lasciare un alone di mistero, per suggerire un’atmosfera onirica, o per lasciare palesare ricerche introspettive od aspetti intimi. Il mosso (e ribadisco anche le tecniche affine di cui abbiamo parlato in apertura) trasmettono vaghezza ed incertezza delle dimensioni spazio temporali o più semplicemente rendono meno cruda ed esplicita una particolare situazione. Ed ancora, si fa ricorso a tali linguaggi quando si vuol lasciare spazio e stimolare proprie proiezioni psicologiche rispetto all’immagine che vuole essere mostrata o la storia che viene raccontata. Potrei ancora continuare insistendo sull’esperienza del sogno o degli stati di alterata coscienza che all'esperienza sensoriale normale.

Una cosa per me è certa, avere la conoscenza del mezzo è fondamentale ed irrinunciabile, ma riuscire ad esplorare la realtà attraverso il proprio modo, le proprie visioni, le proprie idee ed i propri linguaggi completa la metamorfosi, fino a trasformarsi in pura poesia, esaltazione, estasi e rassegnazione in una convulsa alternanza di stati d’animo secondo ciò che viene vissuto per essere raccontato e tramandato. Per far ciò con ogni probabilità è necessario “imparare a sbagliare”!
 
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licio (Utente)
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Re:RIFLESSIONI: IMPARARE A SBAGLIARE 10 Anni, 3 Mesi fa Karma: 0  
Imparare a sbagliare!
In punta di piedi mi permettevo di ricordare che è in scadenza (6 gennaio) un concorso fotografico che cade a fagiolo in questo argomento. Serendìpia. La Serependità nella fotografia. Già segnalato dal nostro sito (mostra fotografica serendìpia – bando e scheda) le opere, vincitrici e segnalate, saranno ospitate nel prestigioso ex convento dei crociferi a Venezia nei giorni del Carnevale così come il primo premio che prevede volo e ospitalità proprio in quei giorni (14/16 febbraio).

Grazie a queste riflessioni sto provando a cercare i miei pensieri, smarriti nel caos del quotidiano. Provo e riprovo sperando di …sbagliare!
 
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DURO A MORIRE!
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Re:RIFLESSIONI: IMPARARE A SBAGLIARE 10 Anni, 3 Mesi fa Karma: 2  
Serendipity

Stavo iniziando con una carrellata di tipici "errori" che hanno segnato le varianze più significative dell'ultimo secolo ed ero partito proprio dal mosso… tema a me assai caro.
L’intervento di Licio (propizio e quanto mai a tempo... Grazie Licio) mi porta però ad un piccolo stravolgimento di programma e con molto piacere lascio il mio contributo sull’argomento “principe” delle nostre riflessioni.
Nel dettaglio il bando di concorso a cui fa riferimento Licio, prontamente risalito a galla tra le notizie dell’ultima ora, al suo interno alla sezione “Tema” recita testualmente:

“Ai partecipanti è richiesto di trattare in modo artistico la tematica del caso/caos, dell’errore, della serendipità in fotografia. Il filosofo e matematico francese Antoine-Augustin Cournot definiva il caso l’incrocio fortuito di due o più casualità indipendenti. Sebbene le cause rimangano autonome, gli effetti delle singole casualità si mescolano e interagiscono tra loro, generando l’evento casuale.
Talvolta, il caso e l’errore diventano produttivi anche in ambito fotografico.
Secondo lo storico della fotografia Clément Chéroux, è nelle sue ombre, nei suoi scatti errati, nei suoi accidenti e nei suoi lapsus che la fotografia si svela e meglio si lascia analizzare. Ecco perché, spesso, l’errore in fotografia non costituisce un fallimento, ma uno strumento cognitivo che genera fervide scoperte.
Può capitare, pertanto, di trovare cose non cercate e impreviste laddove se ne stanno cercando delle altre; insomma, di scoprire l’America credendo di esser approdati nelle Indie. Per cogliere l’indizio che porta alla scoperta, però, occorre essere aperti alla ricerca e attenti a riconoscerle un valore esperienziale che non corrisponde alle originarie aspettative. Ciò significa abbandonarsi alla serendipità.
Serendìpia è un’isola gravida di errori fecondi. È l’isola frutto del caso e dell’intelligenza umana.”


Gli autori del bando fanno riferimento a “L’errore fotografico” di Clerment Chèroux, suggerito da Pippo Pappalardo in apertura ed oggetto di necessari ulteriori approfondimenti (il capitolo di riferimento per chi fosse interessato è il terzo).

Cheroux è cosciente quindi che attraverso l’errore è possibile giungere al "nuovo", il nuovo arriva dunque senza neanche esser stato cercato. Il successo può scaturire semplicemente dal “caso”. Il problema semmai potrebbe essere quello di saperlo riconoscere, o di trasformare un apparente circostanza fortuita in metodo, sistema, progetto, filosofia o poetica personale. Attraverso la corretta attitudine (quindi non la condanna a priori di qualcosa non rispondente alle regole del momento storico in cui si vive) occorre “cercare qualcosa e, avendone trovata un’altra differente, saper riconoscere d’aver trovato qualcosa di più interessante di quel che s’era cercato all’inizio”.
Il caso si dunque, ma guidato con perspicacia ed intelligenza, filtrato e riconosciuto.

Grazie Licio e Buon Anno a tutti!!!

 
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#8459
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Re:RIFLESSIONI: IMPARARE A SBAGLIARE 10 Anni, 3 Mesi fa Karma: 2  
Uno dei più rappresentativi fautori della serendipity, di tutti i tempi, è certamente Man Ray, il quale cerca con l’errore, un'occasione sovversiva ed opportunità per mettere in discussione i canoni della fotografia contemporanea (come vuole il Surrealismo del suo tempo, di cui si nutre e che nutre).

“Quando facevo delle fotografie, quando ero nella camera oscura, , evitavo di proposito tutte le regole, mescolavo le sostanze più insensate, utilizzavo pellicole scadute, facevo le cose peggiori contro la chimica e la fotografia. (…) Ho approfittato degli incidenti. I più grandi studiosi hanno approfittato del caso”.
Man Ray (op. cit. “L’errore Fotografico”)


Ora, è chiaro che a posteriori è facilmente dimostrabile che il “caso” denunciato da Man Ray è in realtà quasi una naturale predisposizione determinata da una precisa volontà dell'autore e che i "semplici errori" da lui in più occasioni dichiarati siano meno fortuiti di quanto lui stesso volesse far credere ai suoi contemporanei. La tendenza tutta surrealista di sminuire l’operato dell’autore a vantaggio dell’importanza del soggetto, spinge Man Ray ad orientare il suo interesse per l’errore ricercato e finalizzato al “cosa” piuttosto che al “come”. Questa è la fondamentalmente differenza tra Man Ray, ed un suo contemporaneo anch'esso cacciatore di “errori” come Laszlo Moholy-Nagy, (ovviamente avremo modo di approfondire). Per Man Ray dunque l’errore non sta quindi nel mezzo usato quanto nell’imprevedibilità degli eventi del mondo reale, che diventano soggetti da riprendere.



Man Ray "morning"
(come dire, sarà un giorno perfetto?)
 
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Ultima Modifica: 2014/01/03 17:20 Da alb.o.
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