L’ACAF riscalda i motori delle serate dei suoi martedì.
Li ha messi a punto durante i giorni del seminario con Enzo Carli e adesso, in attesa degli altri impegni culturali e sociali, li prova nel contest organizzato dai responsabili della programmazione e voluto proprio per favorire quella crescita comune, condivisa, fatta di confronti e di arricchimenti reciproci, nel rispetto delle idee dei singoli e della loro persona (lo stile ACAF, per intenderci), che tutti, indistintamente tutti, andiamo cercando. Sempre cercando.
Un contest, e lo abbiamo appreso con le passate esperienze, è un momento ludico, aperto a tutti, durante il quale il gruppo si apre ai nuovi aderenti e questi, in quello cercano un’ accoglienza e una disponibilità all’ascolto che qui trovano senza pregiudizi o preclusioni di sorta. Realtà sperimentata e non soltanto sperata.
Un contest è una sfida, rivolta da tutti a tutti come una dichiarazione di buona volontà, ovvero come desiderio forte di capire, insieme, il senso delle cose che ci circondano, visibili ed invisibili, chiare o ambigue, preziose o banali; è una risoluzione concreta a penetrare nella realtà e dialogare con essa fino a prelevare da essa, o trasformare con essa, un’immagine che possa risultare più evidente per capacità rappresentativa o per abilità espressiva; è una possibilità di confronto didattico che consente, grazie ad un paritario e consapevole giudizio, di valutare il valore e la cura dell’immagine privilegiata e, quindi, capire, quanto di essa contribuisce ala nostra maturazione, singolarmente e di gruppo.
Detto così il contest sembra una montagna da scalare con difficoltà e con attrezzature particolari: invece, chi era presente ieri sera, come partecipante o come spettatore, credo che si sia reso conto che l’idea del gioco, sincero e leale oltre che colto e motivato, sia, in effetti, la cifra peculiare della nostra storia sociale e della nostra vicenda umana.
Una vicenda ben condotta ieri sera dal buon Salvo Canuti, pronto al richiamo quanto perennemente in ascolto, desideroso soltanto di trovare nei presenti quella collaborazione e quei suggerimenti che non intralcino i legittimi entusiasmi e si concretizzino in un risultato di gruppo, un gruppo ormai consapevole della sua forza e coscienza sociale.
Che dire ancora? Auguri, buon lavoro e soprattutto non facciamo mancare il nostro prezioso aiuto: tanto atteso quanto cercato.
La tematica suggerita dal contest si è presentata opportuna, stimolante e pertinente per tutti: l’individuazione dei “momenti privati in luoghi pubblici” ha comportato una riflessione da parte di tutti su ciò che definiamo privato e ciò che intendiano per pubblico; a complicare (si fa per dire) la proposta, il primo attributo doveva imputarsi ad un momento ed il secondo riferirsi ad un luogo.
Ma le sfide piacciono per questo, perché occorre dipanare una matassa e rendere tutto più evidente; e ciò che si appalesava dapprima difficile e non risolto, successivamente è apparso chiaro ed immediato e, coraggiosamente, il gruppo ha proposto selezioni e bocciature (talvolta, invero, troppo autoritariamente rumorose) che hanno fatto emergere non solo l’immagine più “convincente” ma anche il pensiero generale sull’argomento scelto, ormai ripulito e convenuto nel dialogo e nel confronto serrato.
I partecipanti hanno cercato la tematica nei momenti delle effusioni sentimentali scambiate in ambienti pubblici (moltissimi i baci tra coppie), o nei saluti alle stazioni ferroviarie; altri hanno fermato la loro attenzione ai momenti di relax cercati al’aperto, o nei luoghi della vacanza, o sui trasporti pubblici; altri hanno domandato se l’attributo pubblico appartenesse anche ad un terrazzo, ad un androne, o as un’ aiuola; altri hanno dato per scontato che lo fosse una panchina, una piazza, una cappella, un angolo per pregare: altri hanno fatto ricorso alla caricatura, al paradosso, al linguaggio retorico (Nota personale: pertinentissimo il ritratto "intimo" sul terrazzo con antenna televisiva).
Ed ancora si sono domandati cos’è privato oltre il darsi un bacio, pregare, leggere, farsi la barba, ritoccarsi il trucco, acconciarsi i capelli o dormire.
Tutte scelte, domande e rappresentazioni possibili per la tematica proposta che, sottilmente, si rivelava e man mano diveniva, una tematica squisitamente fotografica, atteso che proprio la fotografia ha reso pubblico il privato e viceversa (McLuhan, -vedasi Wikipedia-. parlando del fenomeno fotografico, con espressione assai cruda, lo definiva un bordello senza pareti).
Bene, la partecipazione è stata corale ed a mio avviso appassionata; occorre dare ad essa solo più ordine ovvero più metodo e ricondurla, per la discussione, a tempi più comodi.
Ed ora passiamo all’immagine vincente ovvero a “Educazione artistica” di Maria Cristina Lo Giudice, un' istantanea raccolta a Londra, all’interno della National Gallery, luogo pubblico per antonomasia, laddove la fotografa, scegliendo un privilegiato punto di vista, e cioè abbassandosi al livello della raffigurazione dei bambini e dell’adulta che è con loro (la madre?), raccoglie , sinteticamente, il rapporto fra l’ambiente ed il momento vissuto dalla famigliola, probabilmente non estranea allo spirito ed alla natura dei luoghi, ma coinvolta privatamente in un rapporto diverso con i medesimi.
Oltre che al punto di vista, appare indovinata la ripartizione dei pesi visivi all’interno della composizione, resa, peraltro, difficile per la presenza di quadri famosi; felice ed indovinata, altresì, la scelta della luce che cade sulla piramidale composizione del gruppo; efficace, anche, la fortuita ripresa del contesto e dei visitatori. La semplicità di realizzazione, la sicurezza del colpo d’occhio, disponibile a lasciarsi sorprendere dal gruppo dei bambini, il simpatico contrasto tra la solennità del luogo e la disinvolta positura dei protagonisti (tutti per terra come in un prato) hanno raccolto la simpatia e il giudizio positivo dei nostri soci (che dapprima sembravano imbarazzati assai sulle decisioni da prendere).
Ha conteso il successo alla nostra amica, la "pausa pomeridiana" del ben noto Lello Fargione il quale, anche lui con un’istantanea, in un rigoroso bianconero, e privilegiando un taglio reportagistico, ha riportato la tematica sui binari dell’impegno sociale, civile ed umano, proponendoci una riflessione sul privato e sul pubblico vissuta con gli occhi dello “straniero”.
La straordinaria intuizione è stata corroborata da una rappresentazione ben strutturata, con linee visive indovinate (v. la cancellata o la grata-tavolo dietro la panchina) e la contrapposizione tra i due episodi raffigurati (gioco e riposo). La volontà, inoltre, di informarci degli ambienti e dei corpi (v. i piedi del dormiente) testimoniano a favore della capacità analitica del nostro valoroso compagno di avventura e di poesia.
Concludo: ogni riunione, ogni appuntamento, ogni gita, ogni nostra pizzata, è un momento di condivisione, sul quale convergiamo con spirito di servizio e con umiltà.
Se gradito, questo è il mio contributo che deve, possibilmente, arricchirci tutti. Ripeto, tutti.
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