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Rivoluzione digitale e prelievo fotografico (1 in linea) (1) Visitatore
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Discussione: Rivoluzione digitale e prelievo fotografico
#8928
Caristofane (Utente)
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Rivoluzione digitale e prelievo fotografico 9 Anni, 9 Mesi fa Karma: 2  
Rivoluzione digitale e prelievo fotografico, un altro modo di pensare il progetto.

Leggendo un articolo di Fotocrazia: “Considerazioni di un idiota sulla foto d’arte” (che vi invito a leggere, senza tralasciare la lunga e istruttiva discussione che ne è seguita e senza fermarsi all’apparenza, ma cercando di leggere tra le righe) di Michele Smargiaggi, alcune considerazioni, già in parte espresse in passato, tornano ad assalirmi, ma ora mi sono più chiare, anche alle luce degli sviluppi delle lunghe discussioni qui svoltesi con gli amici Pippo Pappalardo ed Alberto Castro, per la maggior parte. In particolare la mia attenzione è stata catturata dalla frase di Smargiassi “…la competenza tecnica di tanti giovani foto-artisti è notevolmente superiore alla loro immaginazione. Possiedono tutti gli strumenti per fare qualcosa di buono, ma non sanno cosa. Sono alla disperata di ricerca di idee che diano un senso alle cose che materialmente sanno fare benissimo.” Mi ritrovo così allo stesso punto di partenza: ci sono i mezzi, c’è la possibilità di registrare un numero di fotografie virtualmente infinito, ma mancano le idee: ancora la foto singola, ancora il casuale prelievo fotografico, ancora… rivoluzione digitale!

La rivoluzione digitale ha comportato, al di là della evoluzione tecnica del mezzo (un sensore diverso?), delle varie deviazioni “photoshoppistiche” (di cui tanto sento lamentare), al di là di una evoluzione verso la grafica e del rimaneggiamento accentuato del referente, al di là della perdita della poesia della fotografia (ah, la vecchia, cara, pellicola!), una modificazione del costume: la macchina fotografica si trova oggi, virtualmente, nelle tasche di tutti, non necessita di apprendistato tecnico dello strumento, è a costo zero.
Conclusione: la fotografia è divenuta un linguaggio abbreviato di uso comune, un modo di prendere appunti, un modo, grazie ai social network, di scambiare esperienze e testimonianze, di istanti del proprio esistere.
Il tempo necessario alla cattura dell'immagine è ulteriormente diminuito (già la fotografia in sé abbrevia la durata del tempo necessario alla riproduzione, ma oggi basta premere un bottone e la foto è fatta, nessuna impostazione previa, nessuno sviluppo e stampa, dopo), i costi di produzione e diffusione si sono ridotti in proporzione. La conseguenza di tutto questo è un'iperproduzione fotografica.
Anche fotografi provenienti dall'analogico, dopo breve uso assumono assuefazione al digitale e diventano iperprolifici. Questo eccesso di produzione lavora, ovviamente, a discapito del tempo dedicato alla singola immagine e del progetto, tanto poi, in mezzo a tante immagini, tagliando e ripulendo, una buona ci sarà, un racconto dovrà pur venire fuori. Ancora di più il prelievo diviene automatico, istintivo, non meditato, casuale. Ancora una volta i prelievi si moltiplicano per favorire la ricerca postuma di un senso, un nesso, una logica (?) continuità. E se il naufragar m'è dolce in questo mare, il fotografo finisce per annegare in questo mare d'immagini. Come farà ad eseguire una scelta, a sviluppare un percorso, a ricavare una storia, un concetto, da questa mole di immagini sconnesse? E quanto sforzo richiederà, e quanto tempo?
Anche la memoria, di cui la fotografia è tecnologica estensione, finisce con il soffrire di tanta ridondanza. Se il vecchio album di famiglia conservava memoria dei momenti e delle persone importanti nella vicenda familiare, facilmente ripercorribili, oggi si finisce col fotografare ossessivamente ogni istante ed ogni avvenimento, ma allo stesso tempo tutto finisce per essere dimenticato o cancellato o perduto e, nel tempo, per essere rimpiazzato da nuove immagini, nuovi eventi, nuovi volti, che a loro volta subiranno analogo destino. Così il flusso delle immagini finisce con il seguire il corso, il destino e l'oblio del flusso stesso degli eventi. Immediatamente pronto per essere diffuso e condiviso: costo zero! Immediatamente pronto ad essere dimenticato: valore zero!
Mi accorgo che delle molte foto che io stesso eseguo in occasione di “eventi speciali” della famiglia, a volte specificamente commissionate, “Mi raccomando per le foto pensaci tu!”, molte finiscono col finire nel dimenticatoio, non guardate, da me medesimo, ma persino da chi le aveva richieste. Mi accorgo che diventa sempre più difficile ritrovare traccia di un determinato evento nella serie infinita che si sussegue. È che tutto evolve troppo in fretta e il nuovo evento è già dietro l’angolo o sono le necessità e gli impegni quotidiani che ci trascinano in un vortice al quale è impossibile sottrarsi o è colpa della fotografia digitale?
Una volta ho letto un saggio consiglio, che vi rimando: “fotografate di più per voi stessi”. Ancora una volta occorre leggere fra le righe, ma pensateci ogni tanto, sono sicuro che qualche idea la maturerete anche voi.

Ora però volevo parlarvi di prelievo fotografico, appunto. Sì, perché la fotografia, lo sappiamo, non può fare a meno del referente, il fotografare non è altro che un prelevare dal mondo che ci circonda un istante, la visione di un attimo, più o meno irripetibile. Se c’è un qualcosa su cui tutti sono d’accordo è questa corrispondenza tra il reale ed il traslato in immagine, questo “è stato”, che la fotografia si porta addosso come un marchio. Ma, ci raccomanda Ferdinando Scianna, …importante è raccontare. Se si parte dalla fotografia non si arriva in nessun altro posto che alla fotografia…”, invece il fotografare automatico, compulsivo, si riduce spesso ad un puro prelievo dal reale senza nulla da raccontare. Quella cosa, quell’avvenimento, mi colpisce, mi intriga, mi emoziona: lo fotografo. Mangio, bevo, amo: lo fotografo. Come dice lo stesso Smargiassi, la fotografia è un dito puntato verso un referente, che sembra dire: io ho visto, guada anche tu! Certo la fotografia ha cambiato il nostro modo di vedere il mondo (vedi “La fotografia cambia tutto” di Marvin Heiferman, Contrasto Ed.), ma è anche cambiato il nostro modo di guardare la fotografia. Non si dedica più molto tempo alla visione delle singole immagini, non si cerca più il virtuosismo tecnico, la perfezione formale, tutto appare già visto, già mostrato in altre mille, centomila, miliardi di immagini simili. Si cerca, invece, un senso, un racconto, un’emozione, un’idea, qualcosa che vada oltre il semplice referente. Spesso, però, il prelievo si rivolge ad aspetti casuali, stocastici, dell’umana esperienza, senza una qualsiasi programmazione. E’ il caso ad esempio di molta fotografia di viaggio o della cosiddetta street-photography, come anche della documentazione di eventi. In questi casi il dito puntato o l’eventuale valore estetico restano gli unici valori della foto, il cui significato si identifica con quanto rappresentato. Spesso queste immagini sono fini a se stesse o al massimo hanno un valore documentario. E’ la fotografia prelievo casuale. Un istante fissato, senza un particolare messaggio da trasmettere, all’infuori della condivisione dell’istante bloccato in eterno (o quasi). Certo il valore documentario di queste immagini resta invariato, ma chi mai vuol vedere rappresentato per l’ennesima volta, ad esempio, il Colosseo… e basta, lo abbiamo visto in tutte le salse! Infatti, anche se a volte viene fuori un’immagine interessante o bella in sé, spesso frutto di congiunzioni casuali, di luci, atmosfere, eventi, paesaggi, volti, essa resta slegata. Ricollegare le immagini prelevate a caso ad altre immagini diventa spesso specioso e l’idea appare chiaro essere mancante. Vuota di contenuti la nostra immagine si perderà in un’infinita serie di altre bellissime, sterili, immagini estetizzanti/pittoriche che poco o nulla attraggono lo spettatore.
A volte, alla base di questi prelievi, vi è un pensiero, un tema, che li accomuna, una ricerca. Ecco che le immagini cominciano a legarsi fra di loro, a svolgere un racconto, a riferire un pensiero, a comunicare qualcosa di più che un semplice valore estetico casuale. Qualche volta a questo si aggiunge uno studio formale atto a trasmettere nel modo migliore l’idea di partenza.
Talora, infine, alla base del prelievo fotografico, c’è qualcosa di più: un progetto specifico, una ricerca programmata. In tal caso la ricerca del soggetto diventa mirata al raggiungimento di un risultato voluto: la trasposizione in immagini di un pensiero, di un’idea. Ecco che il prelievo non è più casuale, ma segue un’ideazione. E’ più complesso ed è fonte di arricchimento per chi lo produce e per chi lo riceve.

Faccio un esempio semplice e un po’ banale: ricorderete tutti la nostra gita a Novara di Sicilia.
E’ stata una bella gita goliardica, completata da un buon pranzo, molte sane risate e varie, moltissime invero, fotografie. Fotografie casuali per lo più, volte a riprendere aspetti più o meno tipici e caratterizzanti del luogo, ma senza approfondimento, senza tema, senza un’idea. Può bastare? Non credo, anche riunite insieme, queste immagini non possiedono, non dico l’anima, ma neanche un racconto significativo di uno o più aspetti del paese.
Accadde però, a mo’ d’esempio, che durante questo tour abbiamo potuto assistere alla simulazione della sagra del “Maiorchino”, con la cerimonia del lancio delle forme di fomaggio: fotograficamente stimolante! Finisce qui? Se ora approfondisco un attimo il tema, non è difficile, bastano due click su internet, scopro che il Maiorchino è “un formaggio prodotto con latte di pecora in forme di 10/12 kg, tipico di quella zona di Messina, che rientra nell’elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali stilato dal Ministero delle politiche forestali. Addirittura quello prodotto a Novara di Sicilia ha ottenuto lo stesso riconoscimento singolarmente come Maiorchino di Novara di Sicilia.” Ottenuto questo semplice dato (in questo caso molto facile da reperire), posso anche pensare che questo formaggio può diventare il mio filo conduttore nella scoperta del paese e della cultura del paese stesso. Ho trovato il bandolo della matassa, come si suol dire. Posso ora risalire ad una tradizione pastorizia, posso rifarmi ad una cultura della lavorazione del formaggio, via via fino agli aspetti culturali e sociali ad esso legati e alla sagra del Maiorchino, che mi riconduce a temi folcloristici e religiosi, in cui il formaggio stabilisce un trait d’union. Questo non toglie che posso anche passeggiare per il paese e fotografare quello che mi piace e mi colpisce, ma allo stesso tempo se incontro un pastore con delle pecore che attraversa il paese, non mi limito più a lasciarlo passare, ma cerco di fotografarlo! Addirittura lo posso seguire e se lui è d’accordo lo posso fotografare nella sua casa, nella stalla, alla mungitura, alla lavorazione, con la famiglia, nel focolare domestico e raccontare la sua storia e attraverso di lui la storia di un paese e di una tradizione che si sta perdendo e di come i figli/fratelli sono andati a lavorare altrove, in città o all’estero e di come il paese si è progressivamente svuotato… In altre parole sono “libero” di seguire un progetto, un’idea, di raccontare una storia, non una fotografia. Siamo, certo, alla base della progettualità alla sua forma più semplice, ma è un’inizio. Se vorrete provare, anche con altri temi, vedrete che il risultato sarà più interessante, e di gran lunga più gratificante, del prelievo casuale. Occorre certo sforzarsi di trovare l’idea, questa è forse la parte più difficile, la tecnica già la possedete (almeno credo).
In fondo anche per buttare giù queste quattro fesserie ho dovuto cercare un tema, pensare qualcosa. In alternativa avrei potuto raccontarvi la pizza mangiata ieri sera, ma ve ne sarebbe fregato qualcosa?

Emanuele Canino
 
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E\' un\'illusione che le foto si facciano con la macchina... si fanno con gli occhi, con la testa e con il cuore.
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Chi non sa fare una foto interessante con un apparecchio da poco prezzo, ben difficilmente otterrà qualcosa di meglio con la fotocamera dei suoi sogni.
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