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Re:RIFLESSIONI SUI RIFLESSI (1 viewing) (1) Guest
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TOPIC: Re:RIFLESSIONI SUI RIFLESSI
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Re:RIFLESSIONI SUI RIFLESSI 10 Years, 9 Months ago Karma: 2  
Già lo specchio e come potrebbe non essere presente nelle foto di Helmut.

E’ ancora lei, oggi, ad aprire idealmente la sua personale “Helmut Newton - White Women, Sleepless Nights, Big Nudes”, che approda a Palazzo delle Esposizioni di Roma (si chiude oggi), unica tappa italiana di una lunga tournee internazionale.

"La mostra rispecchia l'anima dei tre volumi e insieme racconta l'evoluzione della fotografia di moda - spiega il curatore Matthias Harder - Newton portò la moda e la nudità all'interno e all'esterno degli studi, ma i suoi scatti pongono anche la donna sul piedistallo della consapevolezza di se stessa come mai prima di allora. Scorrendo le fotografie si può seguire la trasformazione della donna dagli anni Sessanta agli Ottanta e oltre: un'emancipazione che la libera dai vestiti e la pone anche in altri ambiti, al tempo impensati".


 
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Last Edit: 2013/08/26 19:04 By alb.o.
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Ernesto Bazan (1959)

Inizia a fotografare a 14 anni. Studia fotografia a New York alla School of Visual Arts e dopo quattro anni entra a far parte dell'agenzia Magnum.
Dal 1992 al 2006 (quello che lui stesso battezza lo “special period”) vive a nell'isola di Cuba. Il lavoro svolto in questi anni gli varrà l'assegnazione di alcuni premi fotografici. Nel 2002 sviluppa i suoi workshop di fotografia e nel 2008 fonda la casa editrice BazanPhoto Publishing pubblicando il libro intitolato “Cuba”.
I Premi più importanti ottenuti da Ernesto Bazan sono il W. Eugene Smith, il Mother Jones Foundation for Photojournalism, il World Press Photo oltre che a due prestigiose borse di studio dalla Alicia Patterson Foundation e dalla Guggenheim Foundation.
Bazan ha esposto in Europa, America Latina e Stati Uniti ed i suoi testi sono: “The Perpetual Past”, “Passing Through”, “The first Twenty Years”, “Island”, “Molo Nord”.



Ho avuto il piacere quest’anno di incontrare due volte Ernesto e di aver trascorso tre giorni insieme a lui, per imparare a conoscerlo oltre che “imparare e basta”. Ammetto che è una persona affascinante e che cattura indiscutibilmente la tua attenzione. Dal punto di vista della persona lo conosco poco, ma anima e coraggio non mancano di certo. Indubbiamente oltre ad un grandissimo fotografo ed un coraggioso ed abile uomo di marketing, spicca per la sicurezza in se stesso e nella sua famiglia. Le origini, l’identità, l’appartenenza, sono costantemente presenti sin dal sogno che lo fece divenire il fotografo che è, attraverso l’aver riconosciuto in Cuba la sua terra, la sua Sicilia, fino alla sua nuova ricerca di casa in Messico.
Un poeta, un attento e meticoloso raccontatore di storie attraverso la sua grande fotografia… Senza fretta, poco alla volta, ma con estrema pazienza, costanza e dedizione. Sostenitore della slow foto, la foto che prende il suo tempo per raccontare e per raccontare bene, romanticamente legato alla pellicola ed al bianco nero, nonostante abbia anche pubblicato il suo secondo libro su Cuba “Al Campo” a colori. Tutta la sua attività, inclusi i suoi workshop si basano su questa filosofia. Tornare e ritornare su argomenti e luoghi, fino ad impossessarsi della vita che ivi si svolge, fino ad incontrare anime amiche sul luogo che anno dopo anno, incontro dopo incontro consolidano il loro rapporto personale. Ritornando a visitare i suoi amici, raggiunge un rapporto di intimità e di familiarità tale con i suoi soggetti, che gli consente di scavare in profondità sino a ciò che è davvero l’essenza delle loro vite, dei loro sogni, delle loro anime.
Ma tutto ciò, richiede tempo e dedizione, occorre trovare sistemi di produzione alternativi. Coerente con le sue idee decide di scardinare le regole commerciali, di produzione fino a realizzare per suo conto attraverso la sua casa editrice. Altra scommessa vinta.
La casa editrice produce grazie al contributo dei suoi tanti studenti, sparsi in tutto il mondo che sposano le sue idee e il suo modo di vedere, oltre che consentirgli di vivere di fotografia, attraverso i contributi con il finanziamento dal basso per la stampa dei suoi libri (in futuro anche degli studenti, due sono già in fase di editing). L’editing appunto, nasce anche attraverso il contributo dei suoi studenti, che workshop dopo workshop aggiungono pareri, punti di vista e contributi alla definitiva stesura del libro.
Molto forte, il rapporto con i genitori, la madre in particolare. Lo abbiamo notato immediatamente al primo incontro, la madre presente in sala… lo sguardo di Ernesto in continua sua ricerca…
 
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Riportando la riflessione ai riflessi… Mi sento di poter azzardare, per quel poco che ho discusso con lui di fotografia, che nello specifico sono elementi che rientrano nella foto, quando ci sono, come tutti gli altri e come tali vanno trattati. Strumenti di narrazione maniacalmente inseriti nella forma e nella composizione della foto, ma allo stesso tempo ed allo stesso modo portatori di contenuto. Come molti, come tutti forse, non cerca ovviamente il riflesso, ma capita di incontrarlo e riconoscerlo come parte integrante del racconto. Equilibrio tra contenuto e forma, e quando serve ed è possibile l’oggetto (in questo caso il riflesso) diviene anche strumento di forza fotografica.



Riporto di seguito un’intervista del 2010 (periodo di pubblicazione “BazanCuba”), di Rosa Pugliese, estratta dal sito foto up, che trovo estremamente interessante e che ricorda a tutti noi, l’intervento di Ernesto Bazan nel corso della passata stagione Acaf.
 
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Re:RIFLESSIONI SUI RIFLESSI 10 Years, 8 Months ago Karma: 2  
Fotogiornalista dice di no. Fotografo di strada, forse. Ernesto ama definirsi piuttosto "Fotografo Poeta" e bastano pochissimi minuti per capire che è proprio questo che cerca nella fotografia: la poesia della vita.

di Rosa Pugliese



Ernesto, come hai iniziato a fare il fotografo e come sei arrivato a Cuba?
Io sono nato a Palermo, in Sicilia. Tutto è iniziato grazie ad un sogno che ho fatto a 17 anni. Questo sogno è avvenuto qualche settimana prima che facessi l’esame di maturità al liceo Classico, che ho odiato con tutte le mie forze. Ho sognato 4 parole: devi fare il fotografo. Il giorno dopo ho comunicato ai miei genitori che avrei fatto il fotografo e da quel momento sono passati ben 32 anni e continuo a farlo. Mi piace dire che sia stata una rivelazione, un’energia divina che mi accompagna giornalmente. Più tempo passa più sento che questa essenza mi accompagna, mi protegge e mi apre nuovi cammini.
Dopo questo sogno sono andato prima a New York a studiare fotografia alla School of Visual Art, dopo 4 anni ho avuto la fortuna di entrare immediatamente a far parte dell’Agenzia Magnum. Questa esperienza, però, fortunatamente per me è stata un’esperienza breve perché io sono un tipo di fotografo che non rientra all’interno degli schemi Magnum. E’ stato bello farlo così presto, perché così ho potuto demistificare un mito e andare avanti.
A Cuba ci sono arrivato per la prima volta nel 1992, per caso. Mi sono innamorato dell’isola e dopo qualche viaggio sono riuscito anche a capire perché questo innamoramento a prima vista. Ho capito che da quando ho iniziato a fotografare, nel ’77 più o meno, continuo a cercare la mia infanzia siciliana.

Quindi per te la fotografia ha un significato molto intimo e personale che va al di là del senso che tutti gli attribuiscono…
Si, ritrovare le atmosfere, un uomo molto più a misura di se stesso, della vita. Tutte cose che stiamo perdendo abbastanza rapidamente. Quindi mi ritrovo a fotografare realtà in cui questo connubio tra uomo e natura o tra uomo e vita è ancora ben equilibrato.

Cosa ti ha dato Cuba in termini fotografici, ma anche in termini umani?
Cuba mi ha cambiato la vita completamente. Intanto perché ho incontrato mia moglie, Sissy, con cui ho avuto due gemelli. E mi ha cambiato la vita anche dal punto di vista professionale, perché grazie alle mie foto cubane ho vinto dei premi importanti nel mondo della fotografia internazionale.

In questi giorni stai presentando un libro dal titolo BAZAN CUBA in cui i due nomi si intrecciano alla perfezione. E’ davvero così?
C’è stata una simbiosi straordinaria. Il motivo per cui abbiamo messo il mio cognome così, legato al nome Cuba, è perché a Cuba mi chiamavano tutti Bazan. Sento molto forte l’unione tra me e l’isola.
La soluzione grafica la devo invece ad una mia studentessa argentina.

A proposito, so che hai tanti studenti...
Si. Non ricordo neanche come è iniziato, ma nel 2002 mi sono reso conto che mi stavo annoiando a fotografare per le riviste. Stanco di tutto mi sono dato all’insegnamento e ai Workshop. Lentamente questi workshop sono diventati la fonte principale con cui vivere, ne faccio 10-11 l’anno in particolare in America Latina, uno solo in Sicilia nel periodo pasquale, e uno a New York dove ho ancora casa. Ma soprattutto, grazie a questi workshop ho iniziato ad avere il grande privilegio di scattare solo ed esclusivamente le mie fotografie e di insegnare ai miei allievi a crescere rapidamente. Io amo tornare negli stessi posti, sono convinto che solo così si riesca a scavare nella realtà e a cogliere quella che chiamo la quinta essenza del nostro vivere.

E non si perde la curiosità, quella che dovrebbe muovere ogni fotografo?
No, non si perde. I miei studenti cominciano a capire il valore di tornare sempre negli stessi posti. E quelli che tornano si sono già resi conto di come le immagini dell’anno successivo siano migliori di quello precedente. Riescono a penetrare la realtà più nel profondo.

Torniamo un attimo al libro. Cosa differenzia BAZAN CUBA dagli altri?
Prima fra tutto il fatto che sono diventato editore di me stesso, ed è un grande piacere. E’ un piacere perché siamo, io e i miei studenti, riusciti a mantenere la sovranità, l’indipendenza assoluta, del lavoro. Il libro ha anche stralci del mio diario, citazioni di autori che stimo e ammiro. Poi siamo stati personalmente a Verona e abbiamo seguito tutto il processo di stampa. E’ un avvenimento per me straordinario. Il motivo per cui questo libro è davvero diverso da quelli precedenti è anche perché stiamo facendo una promozione intensa, il bo0k tour. In passato non l’ho mai fatto e, inoltre, non ho percepito una lira. Non è una questione puramente economica, ma dopo 14 anni di vita, dopo aver fatto un libro, avendoci messo fotografie che ritraggono la mia famiglia, i miei amici contadini, non potevo permettere a nessuno di distruggere questo momento. La nostra è una casa editrice nascente, ci scontriamo adesso con tante difficoltà, come quella della distribuzione, però è veramente bellissimo incontrare la gente e presentare questa creatura. Sento fortemente che è tutto voluto da questa energia, oggi mi va di chiamarla così (ride).
Quello che rende questo libro unico nel panorama editoriale mondiale, e lo puoi scrivere senza esitazione, è il fatto che sia stato editato con l’aiuto di 50 miei studenti. Io con molta fiducia e umiltà gli consegnavo la copia del menabò e ascoltavo i loro suggerimenti. E’ stata un’esperienza di confronto straordinaria.
Inoltre 50 di loro hanno preacquistato a scatola chiusa, semplicemente avendo fiducia nel loro maestro, una copia dell’edizione limitata a 900 euro. Il ricavato ci servirà per altri libri, non solo miei, ma dei miei alunni che stanno lavorando su dei progetti molto interessanti. E poi l’idea è anche di estendere questo aiuto a giovani fotografi. Ad oggi ne abbiamo vendute 200 copie. Non è semplice, dobbiamo trovare altre 700 persone che abbiano l’anima attaccata ancora al proprio corpo.

Chi è stato almeno una volta a Cuba, sul famoso lungomare dell'Havana, racconta di come il segno del tempo sia rappresentato dai colori di quei luoghi, come desaturati. Negli anni sessanta/settanta si discuteva se la vera fotografia dovesse essere solo in bianco e nero o anche a colori.
La tua Cuba com'è?

Il libro che vedrai stasera è in bianco e nero. E' chiaro che anch’io mi sono accorto dei colori e li uso, il prossimo libro sulla campagna cubana sarà tutto a colori. Tuttavia scatto principalmente in bianco e nero si, perché è questa la maniera in cui sento la vita e la mia Cuba. Sono nato col bianco e nero e mi sento più a mio agio. Quando scatto a colori ho sempre paura di perdere una visione unica delle cose.

Come si può acquistare il libro?
Il libro può essere acquistato direttamente da me. Oltre ad essere editore di me stesso sono anche il cantiere (ride).

Digitale-Internet-Fotografia, una triade perfetta o imperfetta?
No no no, non mi parlare di digitale (ride). Sono un tradizionalista, un dinosauro. Fino a quando ci sarà la pellicola Tri-x della Kodak, io continuerò a scattare in bianco e nero e in pellicola.
Sicuramente il passaggio al digitale è stato straordinario per i fotografi che lavorano per le riviste. Quando lo facevo anch’io, non sapere se avevo le foto o meno finchè non venissero sviluppate era sempre un rischio che generava molta ansia.
Per quanto riguarda, invece, la ricerca personale va benissimo così. Inoltre, una cosa a cui non rinuncerei mai è la bellezza del provino. Il provino è un vero diario di lavoro. Dopo anni puoi trovare fotografie che magari inizialmente non avevi neanche guardato. Con la pellicola poi riesci a staccarti dal momento, perché passa del tempo dal click allo sviluppo.

Quanto è difficile oggi, rispetto a ieri, scattare una bella fotografia?
Lo è sempre stato. E’ una continua sfida con il flusso straordinario della realtà. Riuscire a cogliere quella che chiamo "la quinta essenza" della realtà è difficilissimo. Considera che le 118 fotografie che compongono questo libro sono una scrematura di centinaia di migliaia di rullini, di almeno 300 fotografie prese in considerazione. Ma solo alcune sono dense di metafore e di significato. Nell'immagine di copertina ci sono io, c’è il ragazzino con la sua infanzia perduta, ci sono i cubani che vanno via dall’isola, ma anche i cubani che ogni tanto ritornano.

Cosa consigli ai tuoi studenti che sperano di diventare piccoli Bazan sparsi per il mondo?
Spero che non diventino dei Bazan. Io cerco di fargli capire che siano loro a trovare uno stile personale. La prima cosa che io gli dico all’inizio del workshop è che impareranno prima di tutto dagli altri e poi che io imparerò da loro. Quindi non c’è questa sorta di mito del maestro. Ovviamente capiscono alcune cose importanti, delle regole precise: la prima è che occorre essere una persona sensibile, la seconda è che si deve riuscire a cogliere dei momenti fotografici nel fluire inarrestabile della realtà, la terza è coniugare allo stesso tempo forma e contenuto. Se in una fotografia prevale, come spesso accade, forma o contenuto, è destinata a non funzionare.

So che ami definirti “fotografo di strada” e che non ami parlare di “fotogiornalismo”…
Assolutamente. Lo rifiuto totalmente e mi definisco addirittura fotografo da marciapiede o fotografo poeta. Nel mio piccolo cerco di raccontare la poesia. E poi lo dico perché a differenza di tanti fotografi che riescono semplicemente a fotografare il dolore, la tragedia, io cerco di catturare anche altre emozioni. Cerco di raccontare anche dei momenti felici.
L’altro giorno all’Istituto Superiore della Fotografia parlavo con uno studente siciliano che era stato all’Aquila e mi ha raccontato delle cose terribili su come questi fotografi pur di avere una foto sono disposti a violentare il dolore di una madre la cui figlia sta per uscire fuori dalle macerie. Questo lo trovo totalmente inaccettabile. Voglio anche chiarire cosa cerco di spiegare: come fotografo, come professionista, hai il diritto di fare la foto se sta succedendo qualcosa. Ma se in quel momento intervengono i familiari a dirti di smettere, devi tranquillamente mettere la macchina fotografica da parte e accettare.

Davanti al dolore degli altri, forse ci vuole più coraggio ad abbassare la macchina fotografica…
Ti racconto una storia. Tre anni fa mi trovavo in Perù per un workshop, in una valle straordinaria. Si avvicinò una studentessa alla quale domandai se avesse visto qualcosa di interessante. Lei mi rispose di si, ma che non aveva avuto il coraggio di fotografare. C’era un uomo morto dentro una casa. Ci avvicinammo e notammo fuori dall’abitazione un chirurgo e un poliziotto. Così chiesi al chirurgo la possibilità di fotografare mentre faceva l’autopsia. Il chirurgo chiese il permesso ai familiari che acconsentirono. Acconsentì anche il poliziotto. Io e la mia allieva riuscimmo, con difficoltà, a fare queste foto. Alla fine ritenemmo di avere una buona foto. Eravamo contenti come fotografi d’aver vissuto questa esperienza. Due giorni dopo, rientrando da un matrimonio in un paesino vicino, vedemmo un corteo funebre. Era il corteo della persona che avevamo fotografato qualche giorno prima. Decisi di fotografare e mentre lo facevo un signore che stava accanto a me ha spostato un altro signore per farmi spazio. In quel momento ho capito che avevo avuto il permesso, ero stato accettato. Alla fine, gli altri abitanti del paese hanno cominciato a raccogliere dei soldi da dare alla vedova ed io, essendo non peruviano, cercai di dare di più degli altri. Lei mi abbracciò e mi disse "grazie papa".
La storia non finì lì, ogni anno vado a casa della donna e lascio 40-50 dollari, il primo anno trovai di nuovo lei che mi disse sempre "grazie papa", a ottobre scorso non c’era nessuno e li ho lanciati dentro casa.
Racconto questa storia non per vantarmi o perché credo di essere un eroe, ma perché spero che questo possa essere un granellino di sabbia nel deserto. Il mio piccolo contributo per dire che prima di essere bravi fotografi, prima di essere qualsiasi cosa, si deve essere esseri umani decenti. Io cerco di migliorarmi ogni giorno. Tutto qua.

Nel 2006, Ernesto Bazan ha lasciato il luogo che era diventato da 14 anni la sua casa. Questa volta non per scelta. Ernesto sarebbe stato, infatti, costretto a rinunciare ai suoi Workshop in seguito a delle lettere anonime pervenute alla polizia cubana. Nonostante questo non ha mai smesso di amare quell'isola, come del resto non ha mai smesso di amare la sua Sicilia. La stessa che continua a cercare, con infinita poesia, ogni volta che per strada incontra "gente con l'anima ancora attaccata al corpo". Quella Sicilia che risuona nelle "r" doppie e musicali ogni volta che mi chiama per nome.
 
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Last Edit: 2013/07/26 10:50 By alb.o.
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Albert Watson (1942)

Fotografo scozzese tra i più conosciuti e ricercati di fashion e commercial degli ultimi 40 anni. Nato ad Edimburgo figlio di un pugile e di un’insegnate di educazione fisica. Ha studiato graphic design presso la Duncan of Jordonstone College of Art a Dundee e film e televisione presso la Royal College of Art a Londra.
Nel 1970 si trasferisce a Los Angeles, insieme alla moglie Elizabeth. Watson inizia a fotografare, coglie le sue occasioni, le sa sfruttare fino a distinguersi molto presto ed essere praticamente subito identificato e seguito dalle più importanti riviste di moda come Mademoiselle, GQ e Harper’s Bazar.
Nel 1973, uno dei suoi più celebri ritratti oggi icona e molto spesso riproposto: il ritratto di Alfred Hitchcock che regge l’anatra spennata dal collo che quell’anno uscì sul numero di natale di Harper's Bazaar's. Sono oggi moltissime le immagini icona di Waston. Ha ritratto personaggi molto noti, stars di Hollywood, stars del rock, modelle famosissime, persino il Presidente Clinton e la Regina Elisabetta.
Nel 1976, inizia la sua lunghissima esperienza con Vogue che con il conseguente trasferimento a New York sanciscono l’esplosione della sua carriera.



Inizia anche la sua sterminata attività fotografica per le campagne pubblicitarie più importanti. Suoi clienti sono infatti Gap, Levi’s, Revlon, Chanel. Dirige più di 500 commercials e realizza decine e decine di locandine per I più famosi film di Hollywood: basti pensare a "Kill Bill," "Memorie di una Geisha", “il Codice Da Vinci”, etc. Anche il famoso ritratto di Steve Jobs è suo.
Il suo lavoro è stato esposto nelle galleria di tutto il mondo. Annovera più di 200 copertine per Vouge, circa 40 per Rolling Stone, etc. In America è considerato alla stessa stregua di Richard Avedon e Irving Penn.
Dal 2004, Watson espone al Museum of Modern Art di Milano; al KunstHausWien di Vienna; al City Art Centre di Edimburgo; al Foto Museum di Antwerp in Belgio; al NRW Forum di Düsseldorf, ed ancora ha esposto al National Portrait Gallery di Londra, al Metropolitan Museum of Art di New York, al Pushkin Museum of Fine Arts di Mosca, al International Center of Photography di New York ed al Deichtorhallen di Amburgo.
Watson ha pubblicati diversi libri: “Cyclops“ (1994), “Maroc” (1998), "Albert Watson" (2007), "UFO: Unified Fashion Objectives" (2010), "Strip Search," (2010) in due volumi, etc.
Anche lui ha ricevuto diversi importanti riconoscimenti e premi, tra cui ricordiamo Lucie Award, il Hasselblad Masters Award, tre ANDY Awards, il Royal Photographic Society's Centenary Medal, etc.
Watson tuttavia non è solo un fotgorafo di moda… La sua sterminataproduzione, si concretizza negli archivi del suo studio in Manhattan dove sono conservate milioni di immagini e negativi. Il suo studio è anche una “personal gallery” ricca di straoridnarie fotografie in grande formato scattate a Las Vegas. Fotografie di paesaggio, di interni, ritratti e dettagli sorprendono per la loro delicatezza e per le loro ricche cromie. L’osservatore è attratto da queste immagini, si avvicina e sembra compenetrarvi, ma quasi sempre ad un certo punto è l’immagine stessa che sembra voler mantenere le distanze.
 
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Last Edit: 2013/07/26 21:18 By alb.o.
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I suoi riflessi? ve ne sono diversi, nel campo della moda e della pubblicità, diventano spesso stratagemmi, invenzioni, per stupire, per creare nuove forme, per allargare, per moltiplicare, per ripetere, per mostrare l'altro lato... E' quasi una visione matematica, una forma di tutto calcolato, studiato e ben determinato. Il riflesso ha una sua precisa funzione, calcolata, che diviene spesso il nodo centrale della foto, senza il quale la foto stesso perderebbe significato. Ovviamente sono sempre "riflessioni" personali, che potrebbero tranquillamente portarci lontano dalle vere intenzioni del fotogrrafo, ma invito tutti a non dimenticare il punto di partenza... Perchè fotografiamo un riflesso, cosa ci attrae del riflesso, cosa rappresenta, cosa potrebbe significare e fino a che dimensione ci consente di arrivare... Buona "RIFLESSIONE" a tutti!

 
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