Incontro una gentile amica che mi confessa di star seguendo queste mie riflessioni sul nascondimento della cittą e della sua scoperta.
La incoraggio a intervenire nel dibattito.
"In fondo - le dico - ogni qualvolta fotografiamo la cittą, la sveliamo a noi stessi".
In effetti siamo da tempo consapevoli che lo strumento fotografico, il suo sguardo, vede e raccoglie molto di pił di quanto percepisce il nostro occhio.
Siamo altrettanto consapevoli che quel briciolo o quel tanto di poesia che intendiamo rivelare nella nostra rappresentazione fotografica in essa fotografia si risolve poichč altro non appare che il nostro connotare la realtą rappresentata.
Comunque la mettiamo, sia ragionando secondo la poetica di Robert Frank, sia lavorando secondo la poetica di G. Berengo Gardin, la rappresentazione finale sarą una sorpresa perchč rivelerą un'immagine "latente" della cittą ovvero quella che la macchina ha saputo vedere meglio di noi e quella che ha raccolto la nostra connotazione: connotazione che, finalmente, nella rappresentazione ultima, si coniuga con la nostra visione personalizzandola in maniera originale.
"Quindi, cara amica, fotografa i tuoi angoli di cittą, fiduciosa delle risorse del tuo strumento e ancor pił dei risultati espressivi del tuo avvenuto coinvolgimento personale"
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