La nota di Pippo Pappalardo:
Una felice casualità...
Una felice casualità mi ha portato ad essere presente in tutte le Giurie che sono state
convocate per il Premio ACAF “I diritti dell’uomo”.
Dalla sua prima edizione, dalla quarta patrocinata dal Senato della Repubblica, fino
all’odierna, ho avuto il piacere e l’onore di seguire l’organizzazione di questo concorso
fotografico, di apprezzarne le motivazioni, di ammirarne le passioni espresse, di invidiarne
(proprio così) le ambizioni sottese.
La felice circostanza mi ha permesso, inoltre, di incontrare fotografi, fotoamatori, critici,
giornalisti, e convincermi sempre più della bontà dell’iniziativa e della sua necessità.
Questa constatazione si palesava con evidenza allorquando la ricezione delle immagini,
provenienti da tutto il mondo, la loro analisi e lo studio della loro particolare confezione
(sempre rispettosa delle istanze riposte nell’iniziativa) faceva scaturire un incontro, un
confronto, un dibattito, talvolta anche una polemica, che, però, convergeva sull’evidente
consapevolezza che andavamo acquistando ovvero la necessità di documentare,
testimoniare, denunciare l’affermazione di un diritto o la sua violazione.
Guardando retrospettivamente all’esperienza passata la prima immagine che mi viene in
mente, è la quantità di “dati” pervenuti, e quindi da conservare, classificare, ordinare ma
anche da cestinare (la madre dei cretini è sempre incinta), scartare (perché gratuite
esibizioni di orrori), censurare (perché privi di un minimo di decoro e di rispetto umano).
Ma, sempre retrospettivamente, ritorno alla confortante sensazione di vedere accomunate
immagini di professionisti, di amatori tout court e di principianti tutte desiderose di
dichiarare “ho visto”, “è vero”, “io c’ero”.
Invero siamo giunti alla soglia dei sessant’anni dalla solenne “dichiarazione universale dei
diritti umani” e ci rendiamo conto che già da quel primo giorno sapevamo che
l’affermazione e la tutela di questi diritti sarebbe stata un percorso difficile, tutto in salita,
con tanti agguati derivanti dagli equivoci, dalle ipocrite interpretazioni, dalle evidenti
contraddizioni.
Ma, proprio da quel primo giorno, eravamo assolutamente certi che la fotografia avrebbe
dato il suo contributo, nonostante fosse uno strumento relativamente nuovo ma di sicura
accessibilità presso chiunque.
E, infatti, giorno dopo giorno, il cittadino del pianeta ha invaso il mondo virtuale con
immagini straordinarie (per qualcuno troppe) che hanno scandito i giorni della storia e i
volti degli uomini e delle donne che l’hanno vissuta; ma troppa gente è rimasta indietro
poiché non aveva in mano, non sapeva utilizzare, non era capace di diffondere …… “una
fotografia”.
A distanza di cinque anni questa è la mia conclusione: l’affermazione e la tutela dei diritti.
Umani viaggiano con la tecnologia: se non vi sei dentro sei di nuovo fuori; e quindi
dobbiamo inventarci un nuovo articolo per i sessant’anni della nostra dichiarazione.
Mi si pone per questo intervento una domanda: cosa hai visto in questi anni?
Ho visto uomini e donne soffrire per non più soffrire: ho visto occhi guardare dentro
l’obiettivo fotografico cercando dentro la libertà, la sicurezza, la vita. Tante volte questa
ricerca aveva la forma di una pagnotta, di un vaccino, di un salvagente; troppo spesso,
purtroppo, quelle forme benedette si confrontavano col volto della disperazione, del lutto,
del dolore.
Ho visto la stupidità degli uomini e delle donne e ho visto pure la loro grandezza; e quando
le ho riconosciute con l’evidenza di una sincera fotografia, posta davanti ai miei occhi,
davanti al mio cuore, davanti alla mia mente, non ho guardato se l’immagine era sfocata,
tagliata male, sottoesposta.
Dentro di me ho recitato un “grazie” perché mi aveva aiutato a capire qualcosa di questi
diritti.
Non si possono fotografare le affermazioni di principio, le norme, la loro applicazione o il
loro doveroso rispetto.
Si possono fotografare le ragioni della loro necessità, della loro mancanza e, quindi, le
conseguenze della nostra assenza di cultura, di umanità.
E tanto più si possono fotografare se ogni uomo con il suo strumento, magari con il suo
smartphone, si fa custode di suo fratello.
Pippo Pappalardo (Critico fotografico e docente FIAF)
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