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Presentazione libro di Valeria Laudani (1 in linea) (1) Visitatore
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Discussione: Presentazione libro di Valeria Laudani
#10048
PipPap (Utente)
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Presentazione libro di Valeria Laudani 6 Anni, 6 Mesi fa Karma: 9  
Riprende il ritmo dei nostri martedì
Sappino i nostri soci che, dietro quei colori che a suo tempo ho suggerito, stanno tempo, sacrificio, ricerca, disponibilità per assicurare al nostro sodalizio le migliori occasioni non di parlare di fotografia (per questo basta andare all'edicola) ma per parlare di noi stessi e di quello che ci circonda grazie all'esperienza fotografica.
Ieri ci siamo, ancora una volta, riusciti, promuovendo la presentazione del libro di Valeria Laudani, "Attimi, Sicilia di Poesia", un esordio assoluto in campo editoriale, che abbiamo apprezzato per la chiarezza dell'esposizione fotografica, per la risoluzione nell'approccio, per l'intima poesia catturata.
Il maltempo, la partita di calcio non hanno distratto gli Acaffini presenti che, dal'esempio di Valeria, hanno capito che l'impresa di confezionare un libro non è impossibile, anzi è utile a tutti.

Col suo gentile permesso, trasferisco in questa rubrica quanto da me scritto nell'introduzione alla lettura delle sue immagini.

“Un uomo che confeziona un paniere così come lo pretende l’antica arte e la storica usanza.
Chi è contento che sulla terra ci sia ancora uno spazio, un momento, per la preghiera.
Chi scopre con piacere che tra i tanti volti dei compaesani c’è anche il proprio ritratto.
Quattro uomini che fanno memoria di Giorgio Castriota Skanderbeg, europeo come loro.
Una signora che ti porge la forma e il colore del tempo racchiuso in un ricordo fotografico.
Un compagno di avventura che vuole compiacere la donna che si fida delle sue parole.
Due comari che s’interrogano sul mistero dei numeri civici delle loro abitazioni.
Chi cerca il nipotino e non si accorge che il biricchino sta scalando il Ventoux con un triciclo.
Due donne che ti chiedono, con risolutezza, conto e ragione di quanto sta loro intorno.
Chi è contento di ascoltare, semplicemente ascoltare, una vecchia radio.
Chi prova piacere a guardare, con benevolenza, queste persone.

Ebbene si: queste persone, che la mia amica ha intercettato e coinvolto nel mistero dell’immagine, queste persone - che tra loro s’ignorano – udite, udite, stanno salvando il mondo”.

Se ci avete seguito fin qui, avrete sicuramente riconosciuto la presuntuosa parodiai che abbiamo azzardato sul nobile testo della poesia “I giusti” del grande Jorge Luis Borges, poeta argentino.
Ci siamo permessi questa licenza; e lo abbiamo fatto perché la sequenza fotografica formulata dall’amica Valeria è interamente costruita sull’incontro-scoperta della semplicità di “quelle” persone; persone che non esibiscono titoli, simboli, biglietti da visita o nomi su campanelli altisonanti, ma, più concretamente, vivono il senso del loro dovere sapendo dove andare, cosa fare, quando riposare e, soprattutto, quando “liberare” lo spazio e il tempo nel quale vivono.
Parlano poco le persone incontrate da Valeria, ma mostrano sempre il senso della loro esistenza e del loro esserci, sia di fronte all’obiettivo della fotografa, sia quando, la stessa, tenta di sorprenderle invitandole a venir fuori dal loro tempo quotidiano.

Se provo a risolvere la mia riflessione in questa prospettiva, mi accorgo di potere leggere tutto il lavoro dell’Autrice come una sorta di possibile “inventario” d’incontri, di rapporti, di confronti e di scoperte.
Circostanze tutte colorate più dalla benevolenza che dalla curiosità.
Corollario di questa benevolenza è, però, lo stupore che si percepisce evidente nella scoperta di una smorfia, di un sorriso, di una penombra, di un momento di buio, di uno squarcio di luce improvvisa, di un nascondimento. Così come lo stupore di rivedere la concentrazione in un gesto, la visibile profondità di un sentimento, l’affiorare dell’ironia o la reticenza di un pudore lontano.
E’ un fotografare costruito “con i piedi”: dietro, infatti, c’è tanto camminare, bussare, attendere, magari aspettando una corrispondenza, magari ricevendo più di quanto si è chiesto.
E’ un fotografare costruito “sulla pazienza”, aspettando che il momento del sentimento o dell’umorismo – che poi ha la medesima radice esistenziale – possa manifestarsi e rendersi intellegibile per l’impressione fotografica.
E’ un fotografare che fa del continuo “entrare e uscire” di scena, il suo costante dinamismo emotivo: dall’interno si passa all’esterno, spesso si sta sulla soglia, sul confine, sul limen, sulla distanza del rispetto, reciproco e riconosciuto, che il gesto fotografico vorrebbe cancellare.

Idonea e adeguata, allora, si rivela la scelta del bianconero che permette di isolare l’esperienza umana, vissuta e maturata dalla fotografa, senza contaminarla con l’eccessiva informazione cromatica che potrebbe distrarci. Sotto il profilo narrativo strumentalmente efficace si rivela, altresì, il taglio compositivo prevalentemente orizzontale.
Tali scelte, peraltro, ci consentono di raccordare il reportage della nostra fotografa con tutta quell’esperienza artistica e fotografica che ha ritenuto fondamentale l’adesione verso queste tematiche quanto meno per conservare l’identità storica, sociale, politica del nostro territorio e della nostra gente.

In questo intervento ci preme, però, annotare la risoluta volontà della fotografa che, nella compiuta forma del fotogramma, dichiara la sua volontà di voler custodire questo mondo, di volerne avere “cura”, una cura nel senso che a questa parola dà il cantautore Franco Battiato.
Se proviamo, allora, a muover da questo atteggiamento – che possiamo anche, genericamente, definire benevolenza (ma ci sa di poco) – nascerà spontaneo il desiderio di guardare all’immagine oltre il canonico quadrato ermeneutico di ogni visione.
Scavalcheremo, così, la volontà di documentare o di analizzare socialmente quanto rappresentato e, con semplicità e naturalezza, andremo oltre l’immagine cominciando a parlare della partecipazione emotiva del nostro sentimento.

Noi che stiamo guardando queste immagini, tanto lontane dal fashion, dal glamour, dalla suggestione, dalla violenza di tanta fotografia contemporanea, ma tanto vicine al tempo ed allo spazio che dobbiamo condividere, ecco, muovendo da quest’attenzione, senza saperlo, senza conoscerci, “stiamo salvando il mondo”.
Pippo Pappalardo
 
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