La giovane socia Miriam Scalisi, con fare disinvolto e assertivo, ieri sera ci ha guidati dentro gli apparenti misteri della “color granding” ovvero di quella risorsa tecnologica che ci permette di ritornare sull’immagine ripresa digitalmente e riformularne i presupposti cromatici seguendo quanto abbiamo patrimonializzato circa la conoscenza dell’esperienza- colore, le sue teorie, il suo uso, equilibro ed armonizzazione. Trattasi di un procedimento che incidendo sulle presenze cromatiche della scena ne permette di alterare e modificare, -assecondando la nostra sensibilità, buon gusto e stile-, il carattere e, conseguentemente, lo stato d’animo, il “mood”, l’atmosfera e l’impatto emotivo rappresentato. Ci avverte la nostra Miriam che trattasi di un accorgimento tecnologico sempre più perfezionato e da tempo collaudato e applicato in cinematografia e sui media visivi (ricordiamo registi come Kubrik, Hitchcock, Visconti, Disney). Ci avverte ancora che chi intende camminare su questo percorso deve approfondire la conoscenza della storia dei colori e le varie teorie circa i loro connotati fisici, materiali, simbolici, spirituali, percettivi e i contigui risvolti psicologici. Perché si tratta, utilizzando i nuovi programmi alla tematica dedicati, di formulare una e propria regia visiva che agendo fondamentalmente sugli aspetti cromatici opera e modifica il testo fotografico senza sconvolgerlo ma agendo su percorsi neuronali provocati a rispondere alle nostre sollecitazioni e, quindi, al nostro gusto e alla nostra volontà rappresentativa. Riformuliamo, allora, il nostro sguardo recuperando quello da cui siamo stati distratti, o il nostro strumento di ripresa non ha saputo captare. Riequilibriamo la scena, come con le luci a teatro; armonizziamo i vari elementi compositivi tra loro. E lo facciamo recuperando e incrociando vecchie esperienze come il giusto equilibrio fra tonalità, saturazione, luminosità. Non si tratta di “correction color”; non dobbiamo modificare, aggiungere, sopprimere nulla ma presentare gli elementi compositivi ed espressivi in modo tale da giustificare la loro capacità di relazionare con tutti i protagonisti dello spazio visivo. L’uso di questa risorsa non va concepita singolarmente ma complementarmente agli interventi di perfezionamento utilizzati in altra sede. Un modo, pertanto, di ritornare sull’immagine, di analizzarne il contenuto, di verificarne la necessità, di valutarne la bontà: si tratta, infatti, di scandagliare ogni centimetro del fotogramma e domandargli le ragioni della sua esistenza (e confrontarsi con esso). Miriam con allegra confidenza ci ha regalato la sua esperienza in tal senso: qualcosa si può cambiare e in meglio; se è possibile perché non farlo?
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