Non mi rassegno all’idea di non godere del vostro contatto e di perdere la visione dei vostri volti ma devo riconoscere che questa serata virtuale di martedì mi ha coinvolto emotivamente.
La risorsa (merito di Nastasi e C.) di una Galleria virtuale ci ha permesso di riprendere, secondo in nostro stile, intriso di saperi e di allegria, la riflessione fotografica sul tempo “agatino” della città e dei nostri concittadini e, quindi, su quei giorni strani ma avvincenti dove la speranza e la fiducia nelle visioni future si fa forte e concreta.
E così i nostri amici ci hanno fatto conoscere questa bella, spaziosa, linda, luminosa galleria; ben illuminata, con vista mare e divani per riposarsi. Le immagini erano quelle formulate negli anni passati e quindi c’è stato modo per resuscitare i ricordi, per riprendere il passato per rievocare le ombre.
Vi ho visti due volte, cari amici.
La prima volta, attraverso lo schermo del pc: e vi ho scoperto nelle vostre stanze magnifiche dove vedo che occorrono le scale per raggiungere i piani alti ed affollati delle vs. librerie; oppure accanto ai vostri strumenti musicali, ai vs ricordi di viaggio, alle vostre deliziose collezioni; eravate nelle vostre stanze dove entravano le voci dei vostri figli; dove sentivo il richiamo “a chi toccava buttare la spazzatura”; con gli occhi intenti a frugare uno schermo, isolati dentro una cantina, o nascosti, perché in pigiama, da una fotocamera disattivata. Quanta quotidianità ancora tutta da conoscere e da innamorare.
Vi ho rivisti nuovamente alle pareti con i risultati dell’antica passione; col desiderio di condividerla ancora, anche quando le tematiche delle riflessioni visive potevano apparire difficili, contraddittorie, lontane.
E sulle quelle pareri virtuali è tornata la vitalità dell’immagine ovvero la vostra eco, il vostro riflesso, il vostro battito.
E la Galleria si è riempita di tante presenze.
Non ci fossero state le vostre visioni lungo le pareti di questa magica installazione avremmo sentito solo una voce aggirarsi su questi corridoi, a sproloquiare di bianchi e di neri, di linee e di volumi, di profondità e di assenze, tra poche buone considerazioni e qualche “pappalardata di troppo”.
Ed allora, “Cittadini, Evviva Sant’Agata”
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