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Re:RIFLESSIONI SUI RIFLESSI (1 in linea) (1) Visitatore
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Discussione: Re:RIFLESSIONI SUI RIFLESSI
#8150
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Re:RIFLESSIONI SUI RIFLESSI 10 Anni, 7 Mesi fa Karma: 2  
Altri riflessi di Steven Meisel.

 
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#8151
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Re:RIFLESSIONI SUI RIFLESSI 10 Anni, 7 Mesi fa Karma: 2  
Bruno Boudjelal (1961)

Fotografo francese, di padre algerino. La sua infanzia travagliata diviene determinante nella sua formazione come uomo e come fotografo.

Determinante per Bruno Boudjelal, la decisione presa nel 1993 di andare in Algeria a ricercare le proprie origini. Da allora il rapporto con l’Africa è sempre presente nella sua vita anche professionale. Alla ricerca della sue origini conobbe in Algeria i suoi familiari e la loro vita; approfondì e fotografò fino ad arrivare nel corso degli anni e dei successivi viaggi a documentare l’intera società Algerina.

Uno dei suoi lavori più importanti è appunto, “Jours intranquilles, chroniques algériennes d’un retour” è composta da tre parti: “Les Voyages à Sétif”, “Bentalha, les lieux d’un massacre” e “L’Algérie d’Est en Ouest”.

Lo stile fotografico di Bruno Boudjelal potrebbe essere definito senza grandi margini di errore quanto meno “intuitivo”. Apparentemente poco attento alla composizione, assolutmante indifferente alle regole tradizionali della fotografia quali fuoco, orizzonte in bolla, soggetti interamente nel fotogramma, egli fotografa in bianco nero ed a colori, secondo delle necessità espressive che ritiene necessarie, optando per l’uno o per l’altro di volta in volta.




Il suo risultato è una fotografia disordinata, molto complessa, apparentemente “sbagliata”, molto intima guidata dal “sentimento allo stato puro”, che lascia spazio all’interpretazione di chi guarda. Il suo lavoro deliberatamente spinge sempre il limite di ciò che dovrebbe essere universalmente riconosciuto come “accettabile fotografia”. Un gioco verso il continuo andar oltre, superare il lecito, oltrepassare l’accettabile.

La sua fotografia pone quesiti precisi riguardo la necessità o meno di avere fotografie nitide, a fuoco, in bolla o ben costruite. Sono temi oggi ampiamente dibattuti, spesso discussi e quasi abusati che generano grande interesse sia a livello teorico che a livello espressivo, in fase di scatto.

La ricerca ed il modo di esprimersi di Bruno Boudjelal, sembra inutile dirlo, non è casuale ma intenzionale, trattandosi di un fotografo professionista contemporaneo molto apprezzato e ben capace di fotografare in modo “tecnicamente ineccepibile”; eppure la sua ricerca del limite lo porta ad un linguaggio a mio giudizio molto più convincente, comunicativo e coinvolgente, rispetto ai suoi lavori per così dire di “fotografia tradizionale”. Questo “modo” di fotografare lo contraddistingue sin dall’inizio della sua fotografia, sin dal 1993 appunto. Tutto ciò a mio avviso dovrebbe far riflettere sul significato di linguaggio, sul senso di comunicare e sulla capacità di trasmettere una parte di se stesso attraverso ogni singola immagine, che ogni fotografo (di qualunque livello) dovrebbe ricercare nel suo modo di operare.

Ha pubblicato i suoi lavori in riviste francesi, tedesche, inglese e belghe ed è attualmente membro della Agency VU.
 
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#8152
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Re:RIFLESSIONI SUI RIFLESSI 10 Anni, 7 Mesi fa Karma: 2  
Bruno Boudjelal, in bianco nero...

 
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#8153
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Re:RIFLESSIONI SUI RIFLESSI 10 Anni, 7 Mesi fa Karma: 2  
A questo punto, vorrei spendere qualche parola sul libro “Disquiet Days / Jours intranquilles” di Bruno Boudjelal.

Ricerca di identità, ricerca di concetti e approfondimento di idee, verifiche, analisi, studio, fatica e considerazioni… Appunti! Tutto questo e molto altro sta dietro ad ogni lavoro che si possa definire tale, da parte di ogni autore. Tutto questo segue un processo mentale, non lineare, che si nasconde dietro un metodo, simile probabilmente per tutti, ma allo stesso tempo sempre profondamente diverso da fotografo a fotografo, da artista ad artista. Il metodo di Bruno Boudjelal, è parzialmente svelato in questo libro. Un metodo al quale mi sento molto vicino, che mi pare molto familiare e vicino al mio modo di affrontare un “progetto” (non mi riferisco solo alla fotografia) e che sta divenendo un mio modus operandi anche in fotografia.

A fronte di quanto sopra, appare evidente specie a chi mi conosce, perchè questo libro mi abbia particolarmente colpito. Vederne prima uno stralcio, sul sito dell’Agency VU, e poi poter sfogliare il libro stesso (che però nonostante l’abbia ordinato, non è ancora arrivato… ma si può sfogliare anche on line) non mi ha certo lasciato indifferente. Il libro contiene insieme alle fotografie, anche il processo mentale che ci sta dietro sottoforma di “sketch bo0k”. Diciamo che gli studi preliminari e considerazioni ben più avanti a riguardo del lavoro stesso sono presenti anche sottoforma di “appunti su un taccuino”. Il risultato ed il processo insieme come parte integrante del processo creativo. Se vogliamo: un riflesso a tutti gli effetti. Realtà e ciò che sta dietro la realtà, insieme in un unico scatto (lavoro/libro). E’ quasi avere unito la fotografia al processo intimo che lo ha generato: certamente una forma di riflesso quindi, seppur un riflesso esteso al concetto.

Il libro ed il suo racconto iniziano abbastanza duramente, in questa maniera:


”18 May 1993

Everyone talks to me about Lemaouche, but I don’t dare tell them that nowadays he calls himself Jean-Claude; even when I was young I’d never heard my father’s true name. It was only one day when I needed a copy of my birth certificate that I chanced on his real first name:
LEMAOUCHE.

It was the same day, when collecting this birth certificate, that I realised my father hadn’t been there and that he hadn’t acknowledged my birth. My father, who had got this young, lower middle class French woman pregnant, in the period of the Algerian war. This father who had disappeared and left my mother, who found herself single living at home with her parents, carrying the child of an anonymous man from the other side of the Mediterranean.

Her own father, discovering she was pregnant, threw her out on to the street.

And then my birth, when my mother’s family did after all acknowledge me by giving me their French name, SOMBRET. I was known by this name for a year after that; my name was ‘Bruno Sombret’. But the fact that they’d acknowledged me didn’t stop them, the day after my birth, from abandoning me in a home for illegitimate children. I was the burden too heavy to be carried. I’d hardly been born and I’d already been abandoned twice; by my father and then by my mother and her family who couldn’t accept me as one of them...

In May 1993, I went to Algeria for the very first time, to make a photographic series on Algiers. It was the first time I walked upon my father’s homeland and I didn’t know anything about it... I just knew the birthplace of my father, quickly read in the official family record bo0k, but it was enough to find them, a day of May 1993, in a little village of the Setif region, where a line of crying women welcomed me”.



Non ho chiaro cosa sia successo poi, so solo che nel 1993 questo padre vuole tornare in Algeria (quindi era tornato in Francia e probabilmente aveva ricomposto una famiglia o una parvenza, spero di poter approfondire una volta in possesso del libro in questione). Ed ecco che il diario si arricchisce di dettagli, particolari, riflessioni, appunti, foto di famiglia e foto di Bruno durante il viaggio.

Un opera nell’opera.

Il diario mostra un nuovo paese ed una scoperta, la sua scoperta che viaggia in parallelo all’identità in via di ritrovamento del suo autore. Un mondo nuovo, un mondo violento, una famiglia nuova, le origini. Da quel momento dieci anni di viaggi, di approfondimenti, di scoperte, di riflessioni e riflessi della propria identità, attraverso questo nuovo mondo, queste nuove dimensioni intima e privata che si specchiano nella società e nella cultura algerina… Ecco alcune risposte alcuni comportamenti ed aspetti della propria personalità che come in un riflesso ritrovano le proprie origini.

…e dire che nel 1993 Bruno non era neanche un fotografo professionista!
 
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Ultima Modifica: 2013/08/27 12:26 Da alb.o.
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#8154
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Re:RIFLESSIONI SUI RIFLESSI 10 Anni, 7 Mesi fa Karma: 2  
PS Appena verificato...
Il tracciamento della spedizione, mi dice che tra 5 giorni il libro dovrebbe arrivare!
Per chi fosse interessato a dare un'occhiatina: il libro sarà a disposizione dalla prossima settimana!





Saluti
Alberto
 
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#8155
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Re:RIFLESSIONI SUI RIFLESSI 10 Anni, 7 Mesi fa Karma: 9  
Carissimo Alberto,

mi sto godendo gli ultimi riflessi di luce estiva; e rifletto a quanti momenti di questa stagione sono stati caratterizzati dalla tue insistenti riflessioni.

Non c’ è stato momento nelle giornate trasscorse che non ti abbia, in qualche modo, pensato.

All’alba, guardavo l’impronta sul letto lasciata dal mio corpo sudato e non riflettevo più, come nel bel tempo antico, che quella era l’impronta “indicale” della mia presenza ma riconoscevo che trattavasi della riflessione tangibile di un mia presenza non certo arcana.
Poi, davanti allo specchio, mi guardavo il viso deformato dalla schiuma da barba e consideravo la folla di riflessi che avevo davanti al cuore, alla mente e agli occhi: lo specchio faceva, a suo modo, il proprio dovere, ma la mia vanità rifletteva sull’età e sul tempo che avanza come la barba sempre incombente (meglio essere donne? bah!); e, poi, di seguito, altre considerazioni che tralascio.
Sul vetro della doccia, intanto, ricostruivo (pardon, riflettevo) su altri percorsi che in parte obbedivano alla mia volontà e in parte erano frutto di quella casualità che altri chiamano pure vapor acqueo o legge gravitazionale.
Il peso del portafogli, intanto, aggiungeva alla riflessione la costatata mancanza di moneta per il giornale, per la colazione, per la bolletta, per la benzina, per la spesa…... Troppe riflessioni; e troppo automaticamente organizzate e predisposte.
La bilancia, poi, ne aggiungeva una tutta sua, sempre falsa, bugiarda, dispettosa e disperata.
E così, uscivo dal bagno e mia moglie leggeva sul mio volto, quasi in uno specchio, le mie riflessioni; il suo sguardo perplesso (anche in questo aggettivo nascondesi l’oggetto dellla tua passione) rifletteva un invito ad una seria e definitiva riflessione esistenziale.
Io, allora cominciavo a riflettere sul De rerum naturae, sul Qoelet biblico e sulla “ dissipatio humani generis” (un mio trattatello che spero di pubblicare prima dell’ultima riflessione).

Questi, e costantememte questi, erano i miei pensieri. Fino a stamani, quando ho raccolto l’ultima tua riflessione che, congiungendosi ingegnosamente con l’altra tua “grande” meditazione sulla necessità di un progetto (sempre ed in ogni caso), ti ha spinto a penetrare in una riserva che ritenevo di mia appartenenza e di personale diletto:
la caccia al libro.

Rifletto, allora, tra me e me: sic transit gloria mundi!
E rifletto ancora: “largo ai giovani”
Ma aggiungo, sempe riflettendo, come il topolino all’elefante: “Na l’ultimi tempi, haiu statu malatu”
***
Bando all’ironia (che spero accetterai come naturale riflesso affettivo) ma devo prendere atto che il gruppo, al quale hai voluto confidare gli esiti della tua riflessione, è alquanto stupito ed ammirato di tanta capacità, volontà e disponibilità e mi facio portavoce di un affettuoso ringraziamento regalandoti il ricordo di un dialogo tra Umberto Eco e la sua immagine “riflessa” in uno speccchio.

Otrebmu: Umberto!
Umberto: Eh, cosa c’è? Chi sei? Dove sei?
Otrebmu: Sono qui, non mi vedi?
Umberto: Io vedo solo me stesso.
Otrebmu: Guarda meglio ….
Umberto: Siamo alle solite. Adesso mi dirai che siamo fatti al contrario, che siccome hai la mano destra al posto della mia mano sinistra, tu non sei me bensi la mia immagine capovolta. Ma io non ci casco.
Otrebmu: Come sarebbe? Vuoi forse dire che siamo uguali?
Umberto:No. Voglio dire che tutto questo strologare sull’ immagine riflessa è una gran perdita di tempo: l’ho detto e lo ripeto anche a te. Tu rifletti la mia destra esttamente dove c’è la destra, e la sinistra dove c’è la sinistra.
Otrebmu: Si, la mia destra è sulla destra ma guardacaso ha la forma della tua mano sinistra. E il mio orologio (che io porto su questo polso) va in senso antiorario, vedi?
Umberto: (guardandosi l’orologio) Ti avviso che vado di fretta.
Otrebmu: Vedi che lo specchio ha i suoi vantaggi? Il mio orologio fa andare indietro il tempo, ed io, cioè tu, insomma noi qui, non si ha mai fretta.
Umberto: Storie. Il tuo orologio non fa andare indietro il tempo, ha solo dei comportamenti strani. Guarda, ti faccio vedere una cosa. Sono le 9 e 20, ed è per questo che vado di fretta. Se mi tolgo l’orologio e lo mostro allo specchio tenendo la fibbia del cinturino in su, sembra che siano le 3 meno 20.
Otrebmu: Esatto. E la lancetta dei secondi va in senso antiorario.
Umberto: Si. Ma il punto è che se adesso mostro l’orologio tenendo la fibbia del cinturino in giù, non si vedono le 3 meno 20 ma le 9 e 10. Il 9 resta al suo posto e questa volta l’inversione è alto/basso, non destra/sinistra, Non c’è motivo di pensare che gli specchi invertano sempre solo la direzione orizzontale. Anzi, non c’è motivo di pensare che gli specchi invertano un bel nulla.
Otrebmu: Interessante. Noterai però che la lancetta continua ad andare in senso antiorario.
Umberto: Questo non mi interessa. Se devo guardare l’ora non la guardo certo allo specchio e, difatti, mi scuserai ma continuo ad andare di fretta.
Otrebmu’accordo. Dunque la tua tesi è che allo specchio la destra è destra e la sinistra è sinistra?
Umberto: Si. Del resto, quando allo specchietto retrovisore, che è pur sempre uno specchio, vediamo una macchina che ci supera, vediamo che ci supera a sinistra (a meno che sia un pirata della strada).
Otrebmu: E allora mi spieghi perché gli specchi creano tanti problemi.
Umberto: Perché sono magici, sembrano radoppiare gli enti, e questo – che non ha niente a che fare con la destra e la sinistra – lo veva già visto Platone. Però, molti dei misteri che attribuiamo agli specchi quando parliamo di “inversione speculare” vanno attribuiti ad altro.
Otrebmu: A che cosa?
Umberto: Proprio a quelle misteriose entità che sono destra e sinistra, così evidenti eppure così inquietanti. Il vero mistero, insomma, non è la mia mano riflessa allo specchio, ma piuttosto, come ricordava Kant, che ci siano cose, come le mani, in tutto e per tutto identiche eppure rese impalpabilmente del tutto diverse dall’essere l’una destra e l’altra sinistra.
Otrebmu:In che senso?
Umberto:Nel senso che se io appoggio la mia mano destra allo specchio resta la mano destra. Ma se, dalla mia parte dello specchio, congiungo le mani, ho due oggetti che intuitivamente sono identici e che però non si possono sovrapporre. Strano, no?
Otrebmu: Quello che Kant chiamava il caso degli opposti incongruenti?
Umberto: Si, ma questo qui è un altro paio di maniche, anzi di mani.
Otrebmu: Su questo siamo d’acordo. Qua la mano.
Umberto: Qua la mano. Ma perché mi porgi la sinistra?

(da il Sole 24ore di 24.10.2006)
***
Ti ho strappato un sorriso?
Non è forse il sorriso il tuo/nostro obiettivo? la tua/nostra più convincente riflessione?

Tra qualche settimana, torneremo a farlo, come sempre, insieme. Per intanto, buon proseguimento.
 
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Ultima Modifica: 2013/08/28 10:43 Da PipPap.
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