ovvero:
“sorridete, prego”
Desidero ricordare una Festa della Donna, celebrata fotograficamente dall’ACAF, in quel
del Borghetto.
Stavamo andando via ma, una gentil donna (una socia? un’ospite?) mi avvicinò e mi
pregò, con un sorriso, di continuare a parlare della sua immagine.
Io, vanitoso qual sono, non mi feci pregare e m’intrattenni ancora qualche minuto: ma
ormai la sua giornata era diventata la mia e la mia, la sua.
La luce primaverile che inondava la sala le illuminava i capelli piuttosto chiari; il tepore
primaverile era anche nel suo sguardo; era orgogliosa del suo tailleur di morbido panno
bianco attraversato da linee quadrate rosse; festeggiava la sua stagione, la sua prima
“vera”, e, nell’incontro, “scambiava” con il sottoscritto il piacere di un baratto come accade
tra bambini. Un momento magico che, in altre forme, forse, si sarebbe ripetuto anche oggi.
Perché, oggi, avrei rivisto i vostri occhi, avrei percepito i vostri profumi, castamente vi avrei
abbracciato e baciato.
Poi, ve lo confesso, avrei giudicato anche i vostri abiti, i vostri trucchi e il vostro tempo; e
poi mi sarei nascosto nel bosco delle mie parole.
Perché, direte voi? Perché sono un maschietto e il mio occhio è fotografico (anche il
vostro, via).
Pertanto, infischiandomene del corona-virus, vi confesso che vi cercherò ancora, care
socie e amiche, tra le quattro (si fa per dire) pareti di casa mia.
Vi cercherò tra i ricordi e i domani che sicuramente verranno oltre i decreti governativi e le
prudenze di rito; oltre le paure e i giustificati timori.
Abbiamo ancora tanto da sognare insieme e niente e nessuno potrà toglierci la
soddisfazione di farlo ancora.
Stamani ho spostato un piccolo vaso di coccio dal davanzale della mia veranda. Dalla
nuda terra tenacemente affiorava un filo verde, tenero e insignificante.
Stavo per strapparlo; poi, mi sono bloccato e mi son detto che sicuramente si trattava di
un germoglio di rosa o, chissà, una mimosa.
E comunque:
“La rosa non è solo un fiore,una rosa è una rosa, è un nome di donna che muore d’a….”
(s. endrigo)
Pippo Pappalardo
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